09/09/2024
Sindrome di Leigh: al via lo sviluppo di una terapia farmacologica neonatale e di una terapia genica fetale in utero
Sviluppare una terapia farmacologica neonatale e una terapia genica fetale in utero per la sindrome di Leigh (LS), malattia neuro-metabolica che interessa il sistema nervoso centrale e in particolare il tronco cerebrale e il cervelletto. È questo l’ambizioso progetto coordinato da Dario Brunetti, Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e di comunità dell’Università Statale di Milano e Principal Investigator presso l’Istituto Neurologico Carlo Besta, vincitore del bando multi-round promosso da Fondazione Telethon che ha selezionato 22 progetti di ricerca in tutta Italia dedicati alle malattie genetiche rare.
Il progetto ha ricevuto un finanziamento pari a 240.000 euro e avrà una durata biennale. Allo studio parteciperanno anche le dott.sse Alessia Di Donfrancesco e Alessia Adelizzi, insieme al dott. Ivano Di Meo e alla dott.ssa Valeria Tiranti dell’Istituto Neurologico Carlo Besta.
La LS o encefalomielopatia subacuta necrotizzante è una malattia neurologica progressiva definita da specifici segni neuropatologici secondari a lesioni del tronco encefalico e dei gangli della base. La prevalenza alla nascita è di circa 1 su 36.000. I bambini colpiti presentano un progressivo ritardo dello sviluppo psicomotorio e disabilità neuromuscolari, e l'aspettativa di vita è ridotta a pochi anni nella maggior parte dei casi.
Una delle cause principali di questa malattia è la mutazione del gene SURF1, coinvolto nel corretto funzionamento dei mitocondri. Recenti studi condotti dal gruppo di ricerca del dott. Brunetti e dal gruppo del prof. Alessandro Prigione dell’Università di Dusseldorf hanno permesso di capire come le mutazioni di SURF1 impattano negativamente sul neurosviluppo causando un blocco metabolico della cellula che ostacola il corretto differenziamento dei neuroni. Da qui l’intuizione che un intervento terapeutico mirato e molto precoce o un approccio di terapia genica fetale possano rappresentare una strategia promettente per contrastare lo sviluppo di questa patologia. Grazie al progetto finanziato da Telethon saranno quindi studiati questi due approcci terapeutici con ricerche condotte sul modello suino di sindrome di Leigh. Nel caso della terapia farmacologica si proverà a testare una classe di farmaci inibitori della fosfodiesterasi 5 (PDE5I), che hanno dato risposte positive in una sperimentazione europea fatta su modelli in vitro, con l’obiettivo di ripristinare il metabolismo cellulare durante lo sviluppo neurologico postnatale.
La terapia genica fetale da somministrare in utero, sviluppata dal dott. Brunetti assieme al prof. Nicola Persico (assistito dalle dott.sse Simona Boito e Anastasia Giri), chirurgo fetale dell’Ospedale Policlinico e docente di Ostetricia e Ginecologia del Dipartimento di Scienze Cliniche e di comunità dell’Università Statale di Milano, si propone di risolvere il deficit genetico alla radice reinserendo la versione corretta del gene difettoso nel feto prima della nascita tramite iniezione eco-guidata in utero. La scelta di intervenire durante la fase fetale offre molti vantaggi rispetto alla terapia genica postnatale in quanto è possibile correggere il difetto genetico prima che si instaurino i processi patologici irreversibili, si sfrutta una fase dello sviluppo in cui la barriera ematoencefalica è ancora permeabile, permettendo una migliore delivery del gene terapeutico nel sistema nervoso centrale, il sistema immunitario immaturo e le ridotte dimensioni fetali permettono una riduzione della dose di virus da utilizzare, limitando i costi.
L’approccio mininvasivo di terapia genica fetale in utero ha il potenziale di poter esser facilmente traslato sulle donne gravide per trattare tantissime malattie genetiche. Pochi gruppi al mondo stanno lavorando su questa tecnica innovativa, che conferma l’eccellenza dei due centri ospedalieri milanesi (Istituto Besta e Policlinico) e il livello di avanguardia dell’Università degli studi di Milano.
“Lo sviluppo preclinico di una nuova strategia terapeutica per una malattia rara rappresenta un passaggio importante verso la traslazione della futura terapia sui pazienti. In particolar modo quando viene condotta su un Large Animal Model (il suino) vista la maggior vicinanza all’uomo sia in termini anatomici che metabolici. Spesso, come nel nostro caso ci si arriva dopo anni di ricerche condotte in modelli più semplici (cellule e topi) e grazie al contributo di tanti colleghi biologi, ginecologi e veterinari coinvolti in questo studio multidisciplinare” – sottolinea Dario Brunetti.
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