La porpora trombocitopenica immune (PTI) è una malattia autoimmune che si manifesta con una bassa conta piastrinica (<100000/μL), colpendo sia adulti che bambini di entrambi i sessi. Si distingue una forma primaria (circa l’80% dei casi negli adulti con una prevalenza fino a 9,5 casi per 100000 adulti e un'incidenza di circa 3,3/100000), causata dalla presenza di autoanticorpi anti-piastrine, distruzione piastrinica mediata dai linfociti T e compromissione della funzione megacariocitaria. La forma secondaria, invece, è innescata da malattie ereditarie o acquisite, come infezioni croniche (es. Helicobacter pylori, HIV) o malattie autoimmuni (es. lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide). Nelle forme di PTI innescate dalle infezioni si ipotizza che un antigene virale possa essere riconosciuto come simile ad un antigene piastrinico (mimetismo molecolare), portando alla formazione di autoanticorpi anti-piastrine cross-reattivi. La cura dell'infezione, infatti, spesso coincide con l’aumento della conta piastrinica e la diminuzione del titolo degli autoanticorpi. A seconda della durata, si distinguono tre forme: PTI di nuova diagnosi (<3 mesi), persistente (3-12 mesi) e cronica (>12 mesi). Negli adulti predomina la forma cronica, mentre nei bambini quella acuta. La diminuzione delle piastrine compromette l'emostasi, causando sanguinamenti di diversa gravità. Alcuni pazienti sono asintomatici, altri manifestano sanguinamento cutaneo (petecchie e porpora), dalle mucose (bocca, naso), o emorragie più serie (ematuria, menorragia). Pur avendo una prognosi generalmente favorevole negli adulti, con un basso tasso di mortalità, un piccolo numero di pazienti può sperimentare emorragie gravi e potenzialmente letali, come le emorragie intracraniche (1).
Da un punto di vista fisiopatologico, non è ancora del tutto chiaro come funzioni il complesso meccanismo che causa la diminuzione del livello di piastrine nella PTI. Alcuni studi suggeriscono che gli autoanticorpi si leghino specificamente ad alcune glicoproteine della superficie della membrana piastrinica (prevalentemente alla GPIIb/IIIa e più raramente alla GPIb/IX), innescando la distruzione delle piastrine attraverso l'attivazione del sistema del complemento. Poiché tali glicoproteine sono presenti anche sulla superficie di membrana dei megacariociti, è presente inoltre anche una diminuzione della produzione di piastrine e una compromissione della trombopoiesi. Un altro meccanismo coinvolto è la fagocitosi mediata dal recettore Fcg (FcgR), che provoca la distruzione delle piastrine da parte dei macrofagi della milza che nella PTI esprimono livelli più elevati di FcgRI e un rapporto FCgRIIa/FCgRIIb più elevato con conseguente maggiore capacità di fagocitare gli antigeni. Dati recenti hanno inoltre dimostrato l’importanza del coinvolgimento delle cellule T con una loro disregolazione sia nel numero che nella funzione. Tale condizione causa difetti nei meccanismi di autotolleranza, inclusa una ridotta attività delle cellule T regolatorie (Tregs) e un'iperfunzione delle cellule T effettrici (soprattutto Th17 e Th22), oltre ad un aumento del numero delle cellule T helper follicolari (Tfh) nella milza e nel sangue periferico. Tutti questi fattori contribuiscono all'aumento degli autoanticorpi antipiastrinici e alla fagocitosi da parte dei macrofagi. Infine, la citotossicità mediata dalle cellule T citotossiche (CTL) è potenziata, contribuendo ad una maggiore distruzione delle piastrine (2).
L'unica anomalia riscontrata nella PTI è una conta piastrinica <100.000/mL con una conta dei globuli bianchi, una formula leucocitaria, una concentrazione di Hb e indici globulari tipicamente nella norma. Poiché la diagnosi di PTI è di esclusione, le indagini da effettuare all’esordio mirano ad escludere tutte le altre possibili cause di bassa conta piastrinica. È importante quindi ricercare la presenza di malattie infettive quali HIV o HCV ed escludere l’infezione da Helicobacter pylori mediante la ricerca degli antigeni fecali, degli anticorpi anti-HP nel siero e il breath-test. Il riscontro di anomalie allo striscio di sangue periferico può orientare verso una differente eziologia della bassa conta piastrinica. Ad esempio, la presenza di globuli bianchi immaturi (blasti) può indicare la presenza di una sottostante patologia neoplastica (leucemia o linfoma), mentre la presenza di schistociti può orientare per una anemia emolitica microangiopatica. La biopsia del midollo osseo non viene routinariamente eseguita negli adulti o nei bambini con PTI, mentre è raccomandata nei pazienti che non rispondono al trattamento di I linea o in presenza di determinate caratteristiche cliniche e/o di laboratorio di malignità o di insufficienza midollare (linfoadenomegalia, splenomegalia, dolore osseo, febbre, neutropenia, leucocitosi, presenza di linfociti atipici o anemia) (3).
La PTI può paradossalmente aumentare il rischio di eventi tromboembolici per fattori legati al paziente (es. comorbidità, età, storia di trombosi), alla malattia (es. maggiore proporzione di piastrine più giovani e reattive, presenza di microparticelle e citochine pro-infiammatorie) e al trattamento (es. splenectomia, agonisti del recettore della trombopoietina, immunoglobuline intravenose). È consigliabile quindi effettuare anche uno screening del rischio tromboembolico mediante la determinazione del profilo coagulativo standard (PT, PTT, Fibrinogeno, ATIII) con aggiunta del dosaggio della Proteina C, Proteina S, LAC e la ricerca degli anticorpi anti-fosfolipidi per orientare al meglio la scelta terapeutica (4). In tabella 1 sono elencati gli esami indispensabili e quelli consigliati per il corretto inquadramento dei pazienti con PTI.
L'indicazione per l’inizio del trattamento si basa principalmente sulla tendenza al sanguinamento e sulla gravità della trombocitopenia. Non esiste una soglia piastrinica specifica per iniziare il trattamento; devono essere considerati vari fattori individuali (fase della malattia, suo decorso, rischio di sanguinamento legato all'occupazione etc). L'assunto tradizionale di una soglia piastrinica al di sotto della quale ogni paziente deve essere trattato e al di sopra della quale non c'è bisogno di trattamento non è supportato da evidenze scientifiche. Il rischio di sanguinamento e di morte aumenta quando la conta piastrinica scende al di sotto di 20-30.000/μL, ma esiste una grande variabilità individuale. I corticosteroidi (prednisone o desametasone) sono il trattamento di I linea e provocano l’incremento della conta piastrinica nella maggior parte dei pazienti. Il dosaggio di prednisone è generalmente di 1-2 mg/Kg/die per almeno 2 settimane con successiva graduale riduzione della dose. Prednisone non deve essere somministrato per meno di 3 settimane o più di 6-8 settimane, poiché trattamenti prolungati non migliorano la remissione e possono causare effetti collaterali gravi. La dose usuale di desametasone, invece, è di 40 mg/die per 4 giorni ogni 2-4 settimane per 3 cicli fino a un massimo di 6 cicli. Desametasone è controindicato per il trattamento della PTI in gravidanza (5). Non sono state dimostrate significative differenze in termini di risposte durature al trattamento tra le alte dosi di desametasone rispetto alle dosi standard di prednisone. Desametasone potrebbe essere preferito nei pazienti con severa trombocitopenia che richiede una rapida risalita della conta piastrinica (6).
La somministrazione di immunoglobuline intravenose (IVIg) è impiegata per inibire la fagocitosi delle piastrine rivestite di anticorpi, determinando un rapido ma temporaneo incremento della conta piastrinica che generalmente ritorna ai valori basali dopo 2-4 settimane. Queste sono utilizzate in situazioni di emergenza, quali emorragie o interventi chirurgici urgenti, oppure quando è necessario evitare l'uso di corticosteroidi ad alte dosi, ad esempio in gravidanza. Circa il 10-20% dei pazienti presenta una risposta limitata alle IVIg, in particolare quelli con autoanticorpi contro la GP Ib/IX; tuttavia, una prova con IVIg è comunque giustificata in tali casi (5).
Se il trattamento di I linea con corticosteroidi non ottiene una risposta dopo 2-4 settimane o se è scarsamente tollerato o se provoca una risposta iniziale ma di breve durata, è consigliabile iniziare una terapia di II linea. In caso di recidiva dopo più di 6 mesi, invece, la terapia di I linea può essere ripetuta.
In caso di malattia recidivata o refrattaria al trattamento di I linea, l’utilizzo degli agonisti del recettore della trombopoietina (TPO-RA) rappresenta la migliore opzione terapeutica. I TPO-RA approvati in Europa includono romiplostim (sc), eltrombopag e avatrombopag (os), e sono in grado di aumentare la conta piastrinica in modo sicuro all’interno di un intervallo target compreso tra 50.000 e 150.000/μL (è raccomandato non superare la conta di 250000/μL).
La risposta a breve termine si verifica in oltre il 90% dei pazienti con risposte durature a lungo termine comprese tra il 30 e il 90%. Circa il 50% dei pazienti può sospendere tutti gli altri farmaci per la PTI (es. corticosteroidi) mentre assume TPO-RA. I TPO-RA non presentano cross-resistenza tra loro e sono efficaci nei pazienti di tutte le età ed anche in quelli splenectomizzati. La terapia con TPO-RA può essere ridotta o sospesa una volta raggiunta una remissione stabile. Circa un terzo dei pazienti mantiene una conta piastrinica >50.000/μL senza necessità di ulteriori trattamenti. I TPO-RA sono generalmente meglio tollerati dei corticosteroidi, con effetti collaterali comuni come cefalea e affaticamento. Avatrombopag, a differenza di eltrombopag, può essere assunto con il cibo e presenta un minore rischio di transaminite (aumento dei test di funzionalità epatica) (5).
L’efficacia e la sicurezza di avatrombopag è stata confermata in un ampio studio di real life che ha arruolato 268 pazienti provenienti da 28 centri spagnoli (7). Nello studio il 90.1% dei pazienti trattati con avatrombopag ha ottenuto rapidamente (mediamente dopo 13 giorni) una risposta (conta delle piastrine >50.000/μL) che nel 87.6% dei casi si è mostrata duratura ad un follow-up mediano di 47.5 settimane. La possibilità di risposta non era influenzata dalla durata della malattia, dal numero di terapie precedenti (79% di risposta nei pazienti con >4 linee precedenti) e da un precedente trattamento con altro TPO-RA (romiplostim o eltrombopag). La perdita della risposta è stata osservata in <10% dei pazienti e la sospensione della somministrazione di corticosteroidi è stata possibile nell’80% dei casi in cui era presente. È stato riportato un 14.9% di casi di trombocitosi, ma con solo un 4.5% di eventi tromboembolici (percentuale analoga a quella degli altri TPO-RA) (7).
Un’analisi simile, coordinata dal centro di Caserta da me diretto, con il coinvolgimento di oltre 20 centri ematologici del Centro-Sud Italia e l’arruolamento di più di 200 pazienti, è nella fase finale della raccolta dati ed i risultati saranno presentati il prossimo ottobre al Congresso Nazionale della Società Italiana di Ematologia.
Tra le altre opzioni terapeutiche nella PTI recidivata/refrattaria, fostamatinib, un inibitore della tirosina kinasi splenica (SYK), svolge un ruolo centrale nell’attivazione dei mediatori della fagocitosi. Tale farmaco è stato approvato per il trattamento della PTI cronica (inclusa la PTI secondaria) in pazienti adulti che non rispondono ad altre terapie (8). Gli effetti collaterali più comuni includono diarrea, ipertensione, nausea, aumento degli enzimi epatici e neutropenia.
Generalmente, viene somministrato come trattamento di III linea dopo il fallimento degli TPO-RA, sebbene l'approvazione consenta l'uso anche come trattamento di II linea. La prescrizione generalmente in III linea è causata dall'approvazione limitata alla PTI cronica in cui la maggior parte dei pazienti ha seguito 2 o 3 linee di terapia, inclusi i TPO-RA (5). Fostamatinib è particolarmente indicato nel trattamento dei pazienti che presentano un alto rischio trombotico (4,5).
La tabella 2 riassume le principali caratteristiche (dosaggio, tempo alla risposta, percentuale di risposta ed effetti collaterali) dei farmaci utilizzati nella terapia della PTI in prima linea o nelle successive.
La splenectomia, infine, era precedentemente considerata la migliore opzione terapeutica per pazienti non responsivi ai corticosteroidi, con un tasso di risposta sostenuta del 60-70% in 5-10 anni. Tuttavia, l'emergere di farmaci come i TPO-RA ha limitato il suo uso solo ai pazienti con PTI cronica refrattaria. La splenectomia non dovrebbe essere eseguita nei primi 12 mesi dalla diagnosi, poiché potrebbe verificarsi una remissione spontanea. Sebbene la milza sia il principale sito di produzione di autoanticorpi e distruzione delle piastrine, la mancanza di predittori affidabili ha reso difficile identificare i pazienti che beneficerebbero maggiormente della procedura. L'alto tasso di recidiva e le complicanze chirurgiche la rendono sconsigliabile negli anziani (8). Se le opzioni di I e II linea si rivelano inefficaci o inducono effetti avversi inaccettabili, si possono prendere in considerazione agenti immunomodulatori come micofenolato mofetile, ciclosporina A o idrossiclorochina, altri steroidi come danazolo, inibitori della sintesi di acidi nucleici come azatioprina o inibitori della crescita cellulare come vincristina, vinblastina o ciclofosfamide. Tuttavia, le basse percentuali di risposta completa e il rischio di gravi effetti collaterali ne impediscono un uso diffuso.
La PTI è una condizione altamente eterogenea che presenta una risposta variabile ai trattamenti a causa dei diversi meccanismi patologici. Le raccomandazioni attuali delle linee guida per il trattamento della PTI si concentrano su diverse opzioni terapeutiche a seconda dello stadio della malattia e delle caratteristiche dei pazienti (Fig.1).
I trattamenti di I e II linea, sebbene raggiungano tassi di risposta ragionevoli, generalmente non riescono a mantenere la remissione a lungo termine, esponendo i pazienti al rischio di sanguinamento. Inoltre, le terapie immunosoppressive prolungate aumentano il rischio di infezioni, che possono avere conseguenze gravi nei pazienti fragili.
La crescente comprensione dei meccanismi immunitari alla base dell'ITP sta portando allo sviluppo di nuovi farmaci mirati, che potrebbero ridurre gli effetti collaterali rispetto alle terapie attualmente utilizzate e i risultati degli studi in corso potrebbero modificare le raccomandazioni delle linee guida nel prossimo futuro.