La Rivista Italiana delle Malattie Rare
Rosalia Maria Da Riol
Centro Coordinamento Regionale Malattie Rare FVG - Udine

Rosalia Maria Da Riol
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Affettività e sessualità nelle malattie rare
L’autodeterminazione affettiva e sessuale, sia pur nella consapevolezza delle sue molteplici sfaccettature e dei possibili limiti, è una componente fondamentale per la qualità della vita di ogni persona e non deve essere preclusa a nessuno, tantomeno nell’ambito della disabilità

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L’autodeterminazione affettiva e sessuale, sia pur nella...

 

Un recente sondaggio di Eurordis-Rare Barometer sull’impatto del vivere con una malattia rara in Europa, condotto su 9.591 malati rari, evidenzia che 8 su 10 persone con una patologia rara presentano una condizione di disabilità, da lieve a molto grave, con le relative conseguenti ricadute sulla vita quotidiana, in modo particolare rispetto alla partecipazione e all’inclusione sociale.

Nel 2001 la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell’OMS ha abbandonato il modello di definizione della disabilità basata su criteri medici (ICF 1980) aderendo invece al “modello bio-psico-sociale” che considera la disabilità conseguenza di una complessa relazione tra la condizione di salute della persona e i fattori ambientali che caratterizzano il contesto in cui essa vive e che possono rappresentare degli ostacoli che limitano le sue capacità funzionali e di partecipazione sociale.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CDPD) del 2006, ratificata dall’Italia nel 2009, ha confermato un approccio basato sul modello concettuale della ICF e quindi sul sostegno alle persone disabili in direzione di processi di non discriminazione, di equità e pari opportunità nei diversi ambiti della loro vita. In questa prospettiva anche il diritto fondamentale alla realizzazione della propria vita relazionale, affettiva e sessuale, nel rispetto di ogni specifico orientamento, è stato finalmente riconosciuto alle persone con disabilità al pari di tutte le altre.

La sessualità, quale funzione complessa dell’essere umano, non è solo circoscritta all’aspetto puramente fisico, ma include l’erotismo, la sensualità e la dimensione affettiva. Al riguardo la disabilità, sia essa sensitiva, motoria, intellettiva o psichica, può incidere in maniera lieve o grave su strutture o su funzioni corporee connesse alla vita sessuale, ma quando di fatto nella persona residuano delle abilità esse devono poter trovare espressione, anche grazie a varie tipologie di supporto relazionale e/o ambientale.

Ad oggi, purtroppo, la dimensione sessuale e affettiva delle persone con disabilità è condizionata da gravi pregiudizi e oggetto di stereotipi particolarmente radicati che interessano non solo l’ambito familiare ma anche i professionisti che le assistono quotidianamente.

Numerosi sono i lavori scientifici che evidenziano come spesso i familiari, e i genitori in particolare, presentano nei confronti delle persone con disabilità un atteggiamento desessualizzante e sono più restii ad affrontare le tematiche legate alla sfera sessuale in quanto presumono che i loro figli, soprattutto se femmine, non abbiano desideri o pensieri sessuali. Questi atteggiamenti sono per lo più correlati a background religiosi e culturali che inducono, anche in caso di risposte effettive, a un copione implicito caratterizzato da norme eterosessuali e dalla persuasione latente a evitare i rapporti sessuali fisici.

Questo porta spesso la persona con disabilità a interiorizzare un’immagine nociva della propria sessualità e ad accettare il rifiuto di questa componente vitale di sé, sviluppando d’altro canto sentimenti di frustrazione e di ribellione. Inoltre, questa situazione spesso induce alla ricerca di informazioni relative alla propria sessualità in ambiti non sempre sicuri (riviste/siti web pornografici, social, ecc.) acquisendo nozioni spesso non corrette e stabilendo contatti e relazioni che possono essere a rischio.

tab1I professionisti sociosanitari che hanno in carico persone con disabilità presentano, rispetto ai familiari, una maggiore consapevolezza dell’importanza di un’adeguata educazione all’affettività e alla sessualità per i loro assistiti. Nonostante questo, l’inserimento di attività relative alla salute sessuale come parte routinaria del loro lavoro è per lo più carente. Oltre a un riferito senso di inadeguatezza rispetto a questi temi, i professionisti lamentano la mancanza di appropriati programmi di formazione che permettano non solo l’acquisizione di specifiche abilità nell’approccio alla sfera sessuale dei loro assistiti ma anche l’attuazione di percorsi di confronto e condivisione con i familiari/caregiver. Questo al fine di rilevare e contrastare eventuali fattori di rischio psicosociali (p. es. una famiglia disfunzionale o la mancanza di una rete esterna di solidarietà sociale) (Tab. 1) che di fatto mettono a rischio la capacità di una persona con disabilità di accettarsi e sentirsi accettata.

La sfida che si presenta a famiglie, associazioni di pazienti, professionisti e istituzioni è la realizzazione di un nuovo paradigma di assistenza/protezione delle persone con disabilità che rompa l'equazione “protezione della persona = incapacità della stessa” riconoscendo la loro facoltà di autodeterminarsi nel quotidiano con azioni compatibili con il loro effettivo livello di capacità residua. Questo può avvenire solo in un contesto di supporto (riabilitativo, con eventuale uso di ausili, relazionale) ritagliato su ogni singola specifica condizione. In tale prospettiva anche l’autodeterminazione relativa alla propria vita affettiva e sessuale troverebbe possibilità di realizzazione sia pur all’interno di un circuito di salvaguardia da eventuali situazioni a rischio.

In Italia, a fronte della ratifica della CDPD nel 2009, il legislatore non ha ancora proceduto a un organico e completo adeguamento della normativa interna. Nonostante questo, sono stati fatti alcuni importanti passi avanti sia in ambito di diritto civile – riguardo alla possibilità di sposarsi, di avere dei figli, all’interruzione di gravidanza – sia rispetto al diritto penale con riferimento al reato di violenza sessuale. Infatti, fino alla riforma del 1996 (art. 609 bis), l’ordinamento giuridico assumeva che la persona disabile fosse sempre incapace di autodeterminarsi nella sfera sessuale e chi condivideva con lei una relazione sessuale era condannato come soggetto abusante. Dopo la riforma il reato si configura solo quando quest’ultimo abbia approfittato della condizione di disabilità del partner e l’accertamento, sia dello stato di inferiorità del soggetto disabile sia dell’abuso, compete al giudice.

Un altro tema di rilevanza sociale è la figura dell’assistente sessuale che in alcuni Paesi del Nord-Europa è già disciplinata e la cui regolamentazione in Italia è stata proposta in un disegno di legge (Atto Senato 1442/2014) ad oggi non approvato. Tale figura, meglio definita come assistente all’emotività, all’affettività e alla sessualità (OEAS), è un operatore professionale (uomo o donna, omo/etero/bisessuale) formato da un punto di vista teorico e psico-corporeo sui temi della sessualità, con caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane”, valutate previa una selezione accurata degli aspiranti. L’OEAS aiuta le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico-cognitiva ad accogliere e non reprimere le diverse istanze del proprio corpo, dei sensi e delle emozioni. La sua attività non si concentra esclusivamente sul semplice processo “meccanico” della sessualità, ma promuove anche l’educazione sessuo-affettiva, rendendo la persona con disabilità più responsabile delle proprie relazioni sia sentimentali che sessuali. Ad oggi manca a livello nazionale un quadro legislativo che regoli tale figura, a fronte di alcune Regioni come Toscana ed Emilia-Romagna che hanno deliberato al riguardo e dove la formazione di OEAS è già attiva.

In conclusione, l’autodeterminazione nell’ambito della sfera affettiva e sessuale, sia pur nella consapevolezza delle sue molteplici sfaccettature e dei suoi possibili limiti, è una componente fondamentale per la qualità della vita di ciascun individuo e non deve essere preclusa a nessuno, tantomeno nell’ambito della disabilità. Come in altri campi relativi al mondo delle malattie rare, l’auspicio è quello di stimolare le istituzioni ad elaborare, a livello nazionale, un corpus normativo specifico al riguardo, che diventi motore di un profondo cambiamento politico, sociale e culturale del modo di concepire il rapporto disabilità-sessualità.

 

Bibliografia

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