La Rivista Italiana delle Malattie Rare
Rita Treglia
Segretario di UNIAMO - Federazione Italiana Malattie Rare, Presidente di...

Rita Treglia
Segretario di UNIAMO - Federazione Italiana Malattie Rare, Presidente di ANACC - Associazione Nazionale Angioma Cavernoso Cerebrale

Donne e rarità
Non sono stata costante nel prendermi cura di me stessa, ero concentrata sui miei figli, sullo studio, sul lavoro e non mi concedevo spazi per non perdere tempo. Guardando al mio passato e ascoltando oggi le mamme caregiver, è evidente il bisogno di tutelare la psiche, di insegnare loro a non dimenticarsi di se stesse e della propria salute

Donne e rarità | Non sono stata costante nel prendermi cura di me...

Non sono stata costante nel prendermi cura di me stessa, ero...

 

C’è spesso qualcosa di me nelle vicissitudini che mi raccontano le madri di bimbi rari; è un humus di emozioni e coraggio che riconosco da una sfumatura della loro voce, da un esitare, dignitosamente, per non lasciarsi travolgere da quel senso di precarietà che è compagna di vita, dalla luce che caratterizza i loro occhi, quella luce che narra di speranza e di fatica, di dolore e di determinazione nella capacità di cogliere il senso stesso della propria vita, che è molto diversa da quella che avevamo immaginato noi stesse prima della nascita dei nostri figli.

Sono Rita Treglia, madre di due giovani uomini rari di cui uno non ancora diagnosticato e rara anch’io. 

L’impatto col mondo delle malattie rare mi è stato attutito dal fatto che appartengo ad una famiglia dove erano già presenti delle persone con malattia rara. Mia nonna paterna, nonostante la distrofia retinica l’avesse resa cieca in giovane età, mi aveva insegnato che avere una vita “normale” era fattibile e mio cugino che, quando si ha una bambina con Smith Magenis, la quotidianità ruota intorno a lei e alla parola “programmazione” è il caso di dare nuovo significato.

Ho conosciuto presto i viaggi della speranza, a pochi mesi dalla nascita del mio primo figlio, il mantra del “tamponare i sintomi”, quel senso di precarietà del domani che si è amplificato dopo la nascita del secondo figlio, con il quale abbiamo avuto maggiore “fortuna”: siamo riusciti a giungere a diagnosi dopo sei anni e mezzo. Ero madre caregiver costretta a scegliere un lavoro che mi concedesse quell’elasticità di cui necessitavo nei momenti di fase acuta della patologia dell’uno o dell’altro o di entrambi i figli. Mentre i miei occhi mi davano da pensare e i colori tenuamente sbiadivano, nella mia famiglia altre due zie paterne, dopo mia nonna, si erano ammalate di cancro al seno. Io facevo prevenzione. No, non sono stata costante nel prendermi cura del mio seno e dei miei occhi, lo ammetto e non per essere severa con me stessa ma per comprendere meglio i punti nevralgici delle mamme caregiver di ragazze e ragazzi rari e fare luce sulle mie ombre. Ero concentrata sui figli, a studiare, lavorare, non mi concedevo spazi per non perdere tempo.

Fig1Nel 2013 nasceva ANACC (Associazione Nazionale Angioma Cavernoso Cerebrale), nel frattempo anche uno zio paterno si era ammalato di cancro alla prostata. Mi sono fatta assorbire anche dall’impegno dell’Associazione e da obiettivi che sono stati raggiunti con il DPCM del 12 gennaio del 2017, anno in cui si ammalò di cancro al seno anche una mia giovanissima cugina paterna.

A quel punto mi sono rivolta al Centro che aveva in carico i miei parenti, convinta che il cancro fosse genetico, ma l’oncologa mi riferì che mai e poi mai avrei potuto ereditare il cancro al seno dalla “linea paterna”. Nonostante le mie insistenze, la visita si concluse con le mie scuse nei confronti dell’oncologa che, trovandomi presuntuosa, mi consigliò di rivolgermi ad uno psicologo per le mie paure infondate dovute, secondo lei, al mio vissuto per la situazione dei miei figli e di studiare meno. Ero così frustrata che, nonostante nel Comitato Scientifico di ANACC ci fossero dei genetisti, non ho chiesto loro un parere. Questo fu un mio primo grave errore.

Ma si sa che c’è sempre un t zero, prima del primo errore, che possiamo identificare col momento in cui una malattia rara impatta su una mamma, su una famiglia.

L’anno successivo fu chiaro che avevo ereditato la distrofia retinica di nonna, questa diagnosi mi condizionò a non sprecare tempo: ero presa dai figli, dal lavoro, dall’Associazione, comunque il check up completo di ottobre era andato bene nonostante quella stanchezza strana attribuita allo stress. Questo fu un mio secondo grave errore: non stavo ascoltando il mio corpo.

Fig2Nell'aprile del 2019, in pieno preparativo di un convegno per ANACC, nel giro di una settimana il mio addome diventò globoso, urinavo sangue, avevo forti dolori addominali, mi sentivo sempre più stanca. La mia MMG mi licenziò dicendo che era un sintomo dovuto alla mia celiachia, concentrandosi su un unico sintomo: l’addome globoso. La fortuna era dalla mia: dopo pochi giorni incontrai una dottoressa del Comitato Scientifico ANACC che mi aveva vista la settimana prima, quando avevo il ventre piatto. Preoccupata dell’addome globoso mi sottopose a ecografia: avevo un versamento. Dopo due ore mi venne comunicata la diagnosi di carcinoma peritoneale e ovarico, ero ascitica. Sono stata presa in carico in un Centro in due giorni. Una volta pronte le biopsie, l’oncologo mi ha spiegato il percorso di cura parlando al condizionale: neoadiuvante, intervento, chemio e poi ci sarebbe stata la possibilità di un farmaco, lo studio multicentrico si era appena concluso con ottimi risultati per le pazienti con mutazioni BRCA. Nonostante il condizionale d’obbligo, il fatto di avere un piano condiviso e questo farmaco mi davano coraggio, ed io ho fatto quello che mi riusciva meglio: leggere lo studio del farmaco che quell’aprile era stato approvato da EMA per il mio cancro e darmi da fare. Studiare mitigava la mia rabbia per tutto quello che avrei potuto fare se solo avessi saputo di essere una BRCA. Nessuna ansia quando si prospettò la possibilità di ragionare se accedere al farmaco per uso compassionevole o per uso terapeutico, l’ansia giunse quando il farmaco finì in CNN (fascia C, non negoziata), dovevo assumerlo entro 4 settimane dall’ultimo ciclo di chemio; si trattava di un farmaco che consente di restare libera da una recidiva per anni, di prevenirla. Ricevere quel farmaco è stata la vittoria di una squadra intera. Per tutto il tempo della cura ho continuato la presa in carico nel Centro, anche per la prevenzione visto che ero in menopausa chirurgica precoce. E nel mentre avevo maturato la consapevolezza che potevo mettere a disposizione degli altri tutto ciò che avevo esperito, così sono entrata nel Direttivo di UNIAMO.

I problemi si sono fatti sentire quando sono stata affidata al territorio per le indagini strumentali, ecco lì io ero un’ibrida, sono un’ibrida: non accedevo alla prevenzione per il K al seno perché avevo un K ovarico con codice di esenzione 048, per lo stesso motivo non accedevo al percorso BRCA mutata sana. Quindi le indagini strumentali, per poter rispettare i tempi del follow-up per il K ovarico BRCA, erano a pagamento. Il dialogo con la mia équipe, l’ascolto da parte della mia squadra mi hanno consentito di accelerare per la mastectomia preventiva; è stato da sempre un mio obiettivo, mettermi al riparo da quello che la storia naturale della mia famiglia raccontava e un mese fa mi sono sentita per la prima volta libera dal cancro.

Durante i colloqui di lavoro resto ancora una persona con un cancro genetico, che potrebbe tornare. Forse allora il problema non è solo l’oblio, anche se passassero 10 anni; è come tutelare chi potrebbe assumermi, è cambiare il modo di vedere le persone con il cancro, è come le assicurazioni possano concedermi un prestito nonostante io sia in follow-up. Il problema è anche come guardare il proprio corpo trasformarsi e aver garantite per tutte le donne le mie stesse possibilità, di una squadra completa anche di psico-oncologo.

Guardando al mio passato e ascoltando tutt’oggi le mamme caregiver, centripete verso i bisogni dei figli, della famiglia, del lavoro (quando c’è) è evidente il bisogno di tutelare la psiche, di avere il diritto al supporto psicologico, di insegnare loro a non dimenticarsi di se stesse e della propria salute.

Abbiamo bisogno di aiuto, esattamente, a t zero per evitare ciò che ho compreso tardi e che mi è costato tanto: io vedevo gli altri, tutti, ma non vedevo me.

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