La Rivista Italiana delle Malattie Rare
Marco Sessa 
Presidente AISAC ODV, Associazione per l’Informazione e lo...

Marco Sessa 
Presidente AISAC ODV, Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia

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"Essere Malati" è faticoso
La malattia è considerata un costo sociale, oltre che economico, e " non farcela" significa non essere all'altezza di attese e responsabilità. È dunque auspicabile un approccio olistico in grado di guardare alla malattia senza tralasciare le fragilità e i bisogni della persona

"Essere Malati" è faticoso | La malattia è considerata un costo...

La malattia è considerata un costo sociale, oltre che economico,...

 

Quando parliamo di persone con malattia rara tendiamo a focalizzarci principalmente sulla relativa cura e meno sul malato. Bisognerebbe invece considerare anche tutti gli aspetti che costituiscono le fatiche del vivere con una malattia rara e che non si riferiscono solo agli aspetti di mera cura, bensì coinvolgono anche la persona nel suo complesso.

Io credo che una delle condizioni maggiormente sentite da parte delle persone che convivono con una malattia, specialmente se rara, sia la fatica del vivere quotidiano. E questo non solamente perché in molti casi risulta complicato ricevere una diagnosi, trovare una cura, essere supportati da un punto di vista psicologico e sanitario. Oltre ai disservizi strutturali, è semplicemente complicato "Essere Malati" oggi, in questo Spazio e in questo Tempo.

Nelle culture occidentali, la malattia è sempre considerata in senso negativo. Non viene mai percepita come una condizione dell’esistenza. A queste latitudini, la malattia spesso porta con sé il concetto di morte e quindi fa molta paura. È da contrastare, come la morte, in ogni modo. Come ha scritto lo storico Philippe Ariès: “Nel nostro tempo si è proibito il tema della morte come nel secolo scorso quello del sesso. La contingenza, la finitezza, la fragilità, la sofferenza e la morte, come la sconfitta e come ogni tipo di perdita, non fanno parte del quadro mentale dell’uomo occidentale. Sono diventati temi proibiti, difficili”.

La malattia, la morte, il tempo: sono tutti elementi nemici del presente. Tutti noi siamo tenuti ad essere sempre perfetti.

Non è concessa la debolezza e, ancora meno, la stanchezza. Insomma, non è permesso “non farcela”. E questo ancora di più è chiesto ad una persona malata, la quale è chiamata ad essere sempre straordinaria.

Se la malattia, dunque, è un elemento negativo, bisogna fare sì, di conseguenza, che il paziente sia un soggetto vincente, uno straordinario supereroe che combatte e vince contro tale condizione. Anche il linguaggio segue questa narrazione: si combatte, si sfida, si vince, si sconfigge, si elimina. Una parte di sé diventa quindi nemica. Bisogna diventare soldati ed il corpo, il proprio corpo, si trasforma in un campo di battaglia, la malattia in un nemico ed il percorso di cura in una guerra.

Se non è all’altezza del proprio compito, se non assume doti straordinarie, e se non vince la guerra contro la malattia, il paziente risulta un perdente oltre che un ”costo”. Infatti, in questo Spazio e in questo Tempo la malattia è considerata un costo sociale (oltre che economico) e non farcela significa non essere all’altezza del compito e delle responsabilità previste. È a questo punto che spesso sorgono i sensi di colpa e la vergogna di poter essere considerati un peso per la società, per il sistema, per la famiglia. Un eroe mancato, dunque, che si deve accontentare solo del pietismo altrui verso la sua condizione di malato.

L’acondroplasia è una malformazione genetica rara, con una incidenza di 1:20.000/25.000 nati ed è la forma più diffusa di nanismo. Tra le maggiori difficoltà connesse all’essere una persona nana vi sono, oltre a quelle legate all’altezza, quelle dettate dalla nostra fisionomia. Per quanto riguarda la statura si sono sempre trovati diversi rimedi pratici. Dal punto di vista clinico, negli anni 80 in Occidente si venne a conoscenza che il Professor Gavrjil Abramovich Ilizarov nella sua clinica a Kurgan in Siberia aveva inventato, già 30 anni prima, una tecnica di allungamento degli arti. Infine, da circa un anno è disponibile un farmaco che permette una discreta crescita: è il futuro dell’acondroplasia, un futuro che potranno scrivere le bambine e i bambini di oggi. Insomma, sia la ricerca scientifica che quella tecnologica contribuiscono a raggiungere nuovi traguardi rendendo la vita più facile di quanto possa sembrare.

Quello che però non risolvono le cure mediche sono gli aspetti culturali legati a questa condizione. Il nanismo è una delle condizioni disabilitanti più conosciute al mondo. Nell’immaginario collettivo, le persone con acondroplasia sono i giullari delle corti rinascimentali, i nani del mondo Fantasy o i clown circensi. Se pensiamo al nanismo, sappiamo benissimo di cosa stiamo parlando. Ed è proprio questa situazione, ovvero lo stigma che l’acondroplasia porta con sé, il macigno da inserire nello zaino della vita. La fatica più gravosa nella relazione con il prossimo è proprio quella di "passare" dal personaggio alla persona.

In questo senso la cultura, la società e la famiglia hanno un ruolo fondamentale. Sappiamo bene come la fisicità sia una forma di potere, anzi, come affermava Michela Murgia “Il corpo è politica”. E lo constatiamo quotidianamente nella relazione con il prossimo, nella rappresentazione di noi stessi e nell’utilizzo del nostro corpo. Ogni persona che vive con una malattia, qualsiasi essa sia, subisce una distanza, una perdita di importanza e di indipendenza.

Per le persone con acondroplasia alla perdita di autonomia si aggiunge la costante infantilizzazione: lo sguardo dall’alto verso il basso porta il prossimo a vederti sempre come un bambino, un individuo inferiore, qualcuno su cui esercitare "potere" ed influenza. Che si tratti di un genitore, un famigliare, un amico o un datore di lavoro.

Se non si riesce a gestire la relazione su un piano di parità si rischia poi di "subire" l’altro.

In questo Spazio ed in questo Tempo, una persona che vive con una malattia deve possedere virtù sino ad oggi sconosciute, acquisire conoscenze ed abilità nuove, adottare linguaggi inediti. 

È dunque auspicabile sempre più un approccio olistico al paziente che guardi alla malattia senza tralasciare le fragilità, le debolezze ed i bisogni della persona. Sappiamo benissimo che è necessario uno sforzo collettivo perché senza medici, cure e quindi opportunità e servizi non si guarisce.

Bibliografia

  1. Ariès P. Storia della morte in Occidente: dal medioevo ai giorni nostri. 1998 BUR La Scala. Saggi
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