La Rivista Italiana delle Malattie Rare
Baroukh Maurice Assael
Già direttore, Centro Fibrosi Cistica Verona, AOUI di...

Baroukh Maurice Assael
Già direttore, Centro Fibrosi Cistica Verona, AOUI di Verona
Consulente AIFA per i farmaci per la fibrosi cistica

Fibrosi cistica e nuovi farmaci: inizio della fine?
L’azione combinata di “correttori” e “potenziatori” ha permesso di ottenere risultati clinici sorprendenti quali arresto della progressione di malattia polmonare, parziale correzione del difetto di base in epiteli specializzati come le ghiandole sudoripare, riduzione delle infezioni e dei ricoveri. Oggi, queste combinazioni possono parzialmente correggere gran parte dei difetti funzionali, ma non tutti. Altri farmaci, forse altri approcci, saranno ancora necessari

Fibrosi cistica e nuovi farmaci: inizio della fine? | L’azione...

L’azione combinata di “correttori” e “potenziatori” ha...

 

Il gene CFTR, responsabile della sintesi di una proteina che funge da canale del cloro in diversi epiteli, fu scoperto nel 1989. Sono state identificate oltre 2500 mutazioni, solo in parte chiaramente associate a quadri patologici. Le mutazioni del gene hanno diversi effetti funzionali e possono essere causa della completa assenza della proteina, ma anche solo di alterazioni del processamento intracellulare o difetti funzionali della proteina che arriva in membrana. Il difetto di base è identificato in una ridotta secrezione dello ione cloruro con effetti diversi in vari organi. 

La fibrosi cistica è stata classicamente descritta come malattia multiorgano con grave danno pancreatico fin dalla nascita, anomale secrezioni respiratorie che sono causa  del danno polmonare e delle alte vie respiratorie, epatopatia, sterilità maschile. Inizialmente descritta come malattia che portava a morte nell’infanzia per malnutrizione e infezioni respiratorie ricorrenti oggi si riconosce uno spettro fenotipico più ampio con quadri clinici anche molto meno gravi, sufficienza pancreatica e decorso lieve. Alcune diagnosi sono tardive in persone con scarsi sintomi, se il paziente è sfuggito allo screening neonatale. Le numerose mutazioni del gene CFTR sono raggruppate in classi di difetti funzionali della proteina.

Inizialmente, la speranza fu riposta nella terapia genica, ma si incontrarono serie difficoltà a trovare vettori, virali o meno, in grado di indurre una significativa espressione della proteina nell’epitelio bronchiale. Pur essendo una malattia multiorgano, è il danno polmonare a rappresentare la principale causa di morte per le infezioni broncopolmonari che si cronicizzano causando progressiva perdita funzionale fino all’insufficienza respiratoria. L’efficacia delle terapie viene valutata misurando come endpoint primario l’effetto sulla funzione respiratoria, correlata alla sopravvivenza. Si può così contare su un parametro funzionale solido, facilmente misurabile in tutti i contesti ospedalieri con chiari valori di riferimento alla popolazione sana.

Numerosi sono anche stati i tentativi di correzione farmacologica del difetto di base con approcci che andavano dalla ricerca di molecole attive su canali ionici alternativi per compensare il difetto funzionale del canale del cloro, a farmaci che interferissero con i meccanismi intracellulari di degradazione della proteina CFTR mutata. Ma tutti fallirono. Potenti programmi di screening molecolare permisero infine di individuare composti in grado di potenziare l’attività di proteine mutate che arrivano in membrana. Successivamente, furono scoperte molecole che permettono a proteine difettose di arrivare in membrana.

Uno di questi composti, ivacaftor, giunse alla fase di sperimentazione clinica. Ivacaftor si dimostrò in grado di potenziare la funzione della molecola CFTR sulla membrana dell’epitelio respiratorio con un evidente effetto clinico consistente nel miglioramento significativo della funzione respiratoria di pazienti con malattia medio-grave, riduzione delle infezioni e dei ricoveri. In molti casi la malattia si stabilizzava prevenendo l’inesorabile decadimento funzionale. La scoperta di ivacaftor venne salutata come “l’inizio della fine”. Ma ivacaftor è efficace solo nel caso di alcuni difetti molecolari che rappresentano una bassa percentuale di malati.

La strada era aperta e ben presto vennero affiancate nuove molecole dotate di meccanismi che facilitavano l’arrivo di proteine difettose in membrana. L’azione combinata di “correttori” e “potenziatori” si dimostrò in grado di ottenere risultati clinici sorprendenti: arresto della progressione di malattia polmonare, parziale correzione del difetto di base in epiteli specializzati come le ghiandole sudoripare, su cui si esegue il test del sudore, da sempre il test clinico di eccellenza per la diagnosi di fibrosi cistica. Ma anche riduzione delle infezioni, dei ricoveri, ecc. Oggi, queste combinazioni possono parzialmente correggere gran parte dei difetti funzionali, anche se non tutti. Altri farmaci, forse altri approcci, saranno ancora necessari.

Le nuove associazioni di farmaci sono dunque attive, ma restano vari problemi clinici da risolvere. Nella maggior parte del mondo industrializzato la fibrosi cistica viene diagnosticata alla nascita attraverso programmi di screening neonatale. I primi sintomi sono digestivo-pancreatici e non respiratori. I problemi pancreatici possono essere corretti con opoterapia garantendo una buona crescita. Gli attuali protocolli di intervento prevedono trattamenti nutrizionali e fisioterapici precoci accompagnati da stretti controlli infettivologici. Nella maggior parte dei casi la malattia respiratoria è asintomatica nei primi anni di vita. Aspetti fisiopatologici respiratori possono essere rilevati con esami sofisticati, non ancora standardizzati ed eseguiti in pochi centri.

Si pone quindi il problema di quando iniziare un trattamento farmacologico. Anche se sono stati condotti studi molto precoci è difficile prendere una decisione. I farmaci non sono registrati per trattare bambini molto piccoli. Quindi bisognerà decidere se trattare solo un bambino con sintomi o con evidenti problemi polmonari, rilevabili per esempio con una TAC precoce. È evidente che a quel punto avremo perso tempo.

Trattiamo solo i bambini con sintomi importanti? Ma non è già tardi? Il nostro obiettivo non sarebbe di prevenire l’instaurarsi di un danno? I ragionamenti che si sono fatti in passato per l’inizio della fisioterapia respiratoria, che viene iniziata quasi sempre dalla nascita senza aspettare i sintomi, sono trasferibili alla terapia farmacologica?

La tentazione sarebbe di intervenire subito, prima che si instauri un danno, ma non disponiamo di esami sufficientemente standardizzati per valutare il danno polmonare nei primissimi anni di vita. I test di funzione respiratoria possono essere eseguiti a partire dai 5-6 anni. I test utilizzabili prima sono sofisticati, non sufficientemente standardizzati, non possono essere considerati per ora “endpoint” surrogati. In più, un numero consistente di pazienti non svilupperà per tutta l’infanzia sintomi respiratori significativi. Dobbiamo comunque trattare tutti subito?

Potremmo basarci sul tipo di mutazione genetica, ma dobbiamo ricordare che nella fibrosi cistica non vi è una stretta correlazione genotipo/fenotipo. Alcuni pazienti, con mutazioni generalmente gravi possono vivere a lungo senza problemi respiratori.

La seconda difficoltà consiste nella valutazione dell’efficacia del trattamento. Quando interrompere una terapia pensando che non funziona? Per un diabetico, per esempio, il mancato controllo della glicemia, facilmente rilevabile, indica che la strategia terapeutica deve cambiare. Dei nuovi farmaci per la fibrosi cistica possiamo aspettarci che rallentino la progressione del danno respiratorio. Ma non sono rari i casi in cui le cure classiche ottengono anche lunghi periodi di stabilizzazione sintomatica e funzionale. Difficile quindi capire se il nuovo farmaco stia veramente ottenendo un effetto. Potremmo fare numerosi esempi di terapie farmacologiche che, nella fibrosi cistica, vengono iniziate, e che nessuno osa sospendere.

Disponiamo di un test semplice per stabilire che il farmaco ha un effetto molecolare nel singolo paziente. Possiamo infatti verificare il miglioramento del test del sudore, che misura in condizioni standardizzate la secrezione di cloro. Ma il dato biochimico non è strettamente correlato all’effetto clinico.

Il giudizio di efficacia nel singolo paziente sarà clinico. Stabilizzazione della malattia respiratoria, miglioramento funzionale, guadagno nutrizionale. In alcuni casi, i risultati osservati sono sorprendenti. Pazienti con insufficienza respiratoria sono riusciti a fare a meno dell’ossigeno. Pazienti in lista di trapianto polmonare ne sono usciti. I pazienti che passavano lunghi periodi ricoverati sono nettamente di meno. Ma esiste un grande gruppo di pazienti con malattia lieve o moderata in cui la valutazione clinica dell’efficacia resterà difficile.

Restano, infine, aperti altri problemi. I primi pazienti hanno cominciato i trattamenti 6-7 anni fa. La mediana di sopravvivenza attuale per lo meno in Italia supera i 30-35 anni. Quindi dobbiamo prevedere valutazioni a lungo termine, nell’ordine di 15-20 anni.

Un certo numero di difetti funzionali non risponde ai farmaci ora disponibili. La ricerca, quindi, continua in due direzioni. Nuovi farmaci per le mutazioni oggi non coperte sono ancora necessari, ciò vale in particolare per le mutazioni nonsense che in alcuni paesi interessano il 10% dei pazienti.

Forse servono anche farmaci più potenti di quelli di cui disponiamo. In effetti, visitando il sito https://apps.cff.org/trials/pipeline/ si possono vedere i farmaci che hanno raggiunto l’uso clinico e il numero crescente di molecole in fase 1-2 di studio clinico. Il che fa sperare che siamo veramente nell’era in cui la fibrosi cistica, descritta negli anni '50 del secolo scorso come una malattia precocemente mortale, diventerà una patologia nella grande maggioranza dei casi controllabile con ottime prospettive di qualità di vita e di sopravvivenza.

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