La Rivista Italiana delle Malattie Rare
Alessandra Manes
UO Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Azienda...

Alessandra Manes
UO Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

Ipertensione arteriosa polmonare
L’IAP rappresenta la forma più rara di ipertensione polmonare e richiede un’appropriata valutazione clinica, funzionale ed emodinamica, allo scopo di definire la strategia terapeutica, valutare i risultati nel follow-up ed identificare tempestivamente l’eventuale sviluppo di complicanze a lungo termine.

Ipertensione arteriosa polmonare | L’IAP rappresenta la forma...

L’IAP rappresenta la forma più rara di ipertensione polmonare e...

 

Definizione e classificazione clinica

L’ipertensione polmonare (IP) è una condizione fisiopatologica definita dalla presenza di valori di pressione arteriosa polmonare (PAP) media25 mmHg a riposo misurati con il cateterismo cardiaco destro (CCdx) (1,2). L’IP può essere documentata in molteplici condizioni cliniche che sono state classificate in cinque gruppi principali (Tab. 1) (2).

Ciascun gruppo della classificazione clinica è contraddistinto da aspetti istopatologici, meccanismi fisiopatologici, implicazioni diagnostiche e risvolti terapeutici e prognostici peculiari. La caratteristica più rilevante che contraddistingue il gruppo 1 (ipertensione arteriosa polmonare, IAP) dagli altri quattro gruppi di IP è il meccanismo alla base dell’IP: solo nell’IAP l’aumento della pressione polmonare è dovuto a una patologia intrinseca della circolazione polmonare caratterizzata da lesioni ostruttive a carico delle arteriole polmonari distali (Fig. 1) (3); in tutti gli altri gruppi clinici, l’aumento della pressione polmonare è la conseguenza di processi fisiopatologici derivanti da altre patologie e rappresenta un marker di severità della patologia di base.

A tali considerazioni conseguono importanti implicazioni pratiche e terapeutiche: infatti, i trattamenti specifici per la vasculopatia polmonare (prostanoidi e agonisti dei recettori della prostaciclina [PGI2], antagonisti recettoriali della endotelina [ERA], inibitori della fosfodiesterasi-5 [PDE5i] e stimolatori della guanilato-ciclasi [GCs]) presentano un concreto razionale fisiopatologico (e sono attualmente approvati) solo nella IAP; nelle altre forme di IP, la strategia terapeutica dovrebbe essere finalizzata alla ottimizzazione del trattamento della patologia di base mentre l’aumento della PAP non deve rappresentare un target terapeutico diretto; peraltro, è stato osservato che i farmaci specifici per l’IAP possono determinare effetti indesiderati clinicamente rilevanti nelle forme più comuni di IP (malattie del cuore sinistro e del parenchima polmonare) e non sono pertanto approvati in queste condizioni (4,5).

IP: aspetti epidemiologici

Dal punto di vista epidemiologico, l’IAP (gruppo 1) costituisce la forma più rara di IP rappresentando meno del 5% dei casi riscontrabili in popolazioni non selezionate; nella pratica clinica, la maggior parte delle forme di IP è conseguenza delle malattie del cuore sinistro (gruppo 2) e del parenchima polmonare (gruppo 3) che complessivamente determinano oltre il 90% dei casi.

IAP: istopatologia, patogenesi e meccanismi fisiopatologici

L’IAP include le condizioni nelle quali l’aumento della PAP è dovuto ad una patologia intrinseca delle strutture vascolari caratterizzata da un rimodellamento ostruttivo dei vasi polmonari (3). Le alterazioni istopatologiche interessano prevalentemente le arterie distali (<500 µm di diametro). Sono rappresentate da ipertrofia della tonaca media, lesioni proliferative e fibrosi della tonaca intima, ispessimento della tonaca avventizia con infiltrati infiammatori perivascolari, lesioni endoluminali complesse (plessiformi) e lesioni trombotiche (Fig. 1).

La patogenesi è multifattoriale e coinvolge la disfunzione dell’endotelio vascolare polmonare, la disregolazione della risposta immunitaria, l’attivazione di processi infiammatori perivascolari, la presenza di mutazioni genetiche e di fattori costituzionali che contribuiscono all’alterazione dei meccanismi angiogenetici e riparativi.

Dal punto di vista fisiopatologico, il rimodellamento ostruttivo della circolazione polmonare determina un aumento dei valori di resistenze arteriose polmonari (RAP) con conseguente aumento della PAP. L’aumento persistente dei valori di PAP determina alterazioni morfologiche, strutturali e funzionali che coinvolgono tutte le camere cardiache (Fig. 2): le sezioni di destra si presentano dilatate, il ventricolo destro (Vdx) è ipertrofico e ipocinetico, è presente insufficienza tricuspidale funzionale; le sezioni di sinistra presentano volumi ridotti e risultano marcatamente distorte come conseguenza del ridotto riempimento diastolico (secondario alla ridotta portata cardiaca prodotta dal Vdx) e del dislocamento del setto interventricolare (causato dal gradiente pressorio sisto-diastolico trans-settale).

Le conseguenze emodinamiche sono rappresentate dall’aumento delle pressioni di riempimento del Vdx, dalla riduzione della portata cardiaca e della pressione arteriosa sistemica a riposo e dall’incapacità di aumentare in modo adeguato portata e pressione sistemica durante l’esercizio. Inoltre, la riduzione della pressione arteriosa sistemica associata all’aumento della pressione diastolica e intramiocardica del Vdx condiziona una diminuzione del gradiente pressorio di perfusione coronarica che può compromettere la fisiologica perfusione delle pareti del miocardio ventricolare destro. La conseguente ischemia miocardica può contribuire alla depressione della contrattilità e favorire la progressione della disfunzione del Vdx. Nelle fasi iniziali della malattia, il Vdx è in grado di compensare il sovraccarico di pressione grazie alla capacità di sviluppare ipertrofia e dilatazione. Nel momento in cui la progressione della vasculopatia ipertensiva polmonare supera le capacità di adattamento del Vdx (”afterload mismatch”) si manifestano i sintomi suggestivi (dispnea da sforzo, astenia, angina, lipotimie e sincopi) e i segni clinici di disfunzione ventricolare destra (turgore giugulare, congestione epatica, edemi periferici) (6).

Aspetti clinici e iter diagnostico

L’IAP può essere clinicamente isolata (forme idiopatica, ereditaria, dovuta a farmaci o tossine) o associata ad altre patologie (malattie del tessuto connettivo, cardiopatie congenite con shunt, ipertensione portale, infezione da HIV, anemie emolitiche croniche). Non esiste un nesso causale riconosciuto tra le patologie associate e l’IAP: esse vengono considerate come condizioni con un rischio aumentato di sviluppare la vasculopatia polmonare e dal punto di vista epidemiologico sono caratterizzate da un aumento dell’incidenza della IAP rispetto alla popolazione generale. Per tale ragione, la soglia per il sospetto di IAP tende ad essere più bassa in queste popolazioni e, in alcune di esse (e.g. pazienti affetti da malattie del tessuto connettivo ad impronta sclerodermica), è indicato lo screening ecocardiografico annuale per l’identificazione precoce della malattia.

L’ecocardiogramma è la metodica diagnostica non invasiva più informativa qualora sussista il sospetto di IP: non è sufficiente a formulare la diagnosi ma, attraverso la stima dei valori di PAP sistolica e la presenza di segni indiretti di sovraccarico di pressione a livello delle sezioni cardiache di destra, permette di definire il grado di probabilità di IP (6). Se la valutazione ecocardiografica è compatibile con la presenza di IP, è necessario ricercare le forme epidemiologicamente più frequenti di IP ossia le malattie del cuore sinistro (gruppo 2), mediante l’esame ecocardiografico stesso, e le malattie polmonari (gruppo 3), mediante l’esecuzione di test spirometrici e di tomografia computerizzata del torace ad alta risoluzione. Se non viene documentata la presenza di tali condizioni dovranno essere indagate cause meno comuni di IP. Sarà necessario eseguire la scintigrafia polmonare perfusionale: se sono presenti difetti di perfusione segmentari si dovrà sospettare la presenza di cuore polmonare cronico tromboembolico (gruppo 4) e riferire il paziente ad un centro esperto per completare il work-up diagnostico con l’esecuzione di angio-TC polmonare, CCdx e angiografia polmonare selettiva (7); se la scintigrafia perfusionale risulta normale oppure documenta soltanto difetti di perfusione subsegmentari (“patchy”) potrà essere fondatamente sospettata la presenza di IAP (gruppo 1). La diagnosi definitiva di IAP richiede l’esecuzione del CCdx che, oltre a confermare la presenza di IP precapillare, permette di valutare la vasoreattività polmonare finalizzata a identificare la piccola percentuale di soggetti (<10%) che presentano una residua capacità di vasodilatazione polmonare (“responder”); inoltre, il CCdx permette di definire il profilo di rischio del paziente che è necessario a stabilire la strategia terapeutica iniziale più appropriata (2).

Terapia e follow-up

I pazienti “responder” dovranno essere trattati con farmaci calcio-antagonisti ad alte dosi; tale terapia è in grado di determinare la normalizzazione del profilo emodinamico e di garantire una sopravvivenza a lungo termine molto soddisfacente (1). Nei pazienti che non rispondono al test acuto di vasoreattività è indicata la terapia specifica per l’IAP rappresentata da tre classi di farmaci che interferiscono con le vie patogenetiche implicate nel controllo della funzione endoteliale: le vie della prostaciclina, dell’ossido nitrico e dell’endotelina. La scelta del trattamento iniziale viene stabilita in base al profilo di rischio: i pazienti a rischio basso o intermedio devono essere trattati con terapia orale di combinazione (ERA associato a PDE5i); i pazienti ad alto rischio devono essere trattati con una strategia terapeutica di combinazione più aggressiva comprendente farmaci analoghi della PGI2 per via endovenosa. Alcuni sottogruppi specifici di pazienti, per i quali il rapporto efficacia/sicurezza della terapia di combinazione non è ben definito, possono essere trattati con monoterapia: pazienti prevalentemente stabili e a basso rischio dopo >5-10 anni di monoterapia, pazienti >75 anni con molteplici fattori di rischio per scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, pazienti con caratteristiche suggestive di malattia veno-occlusiva/emangiomatosi capillare polmonare, con IAP associata ad infezione da HIV o ipertensione portale o cardiopatia congenita non corretta, con IAP lieve (WHO I, RAP 3-4 WU, PAPm <30 mmHg e Vdx normale all’ecocardiografia).

Il momento decisivo dell’approccio terapeutico è la verifica degli effetti ottenuti dopo 3-6 mesi dall’inizio della terapia, consapevoli che il target terapeutico è quello di raggiungere o mantenere un basso profilo di rischio. Qualora il paziente non abbia raggiunto il target è indicata l’escalation alla triplice terapia di combinazione (o duplice qualora sia stata iniziata la monoterapia). I pazienti in terapia medica massimale (triplice terapia di combinazione includente analoghi della PGI2 parenterali, preferibilmente per via endovenosa nei pazienti ad alto rischio), vanno riferiti ad un centro in grado di offrire un programma di trapianto polmonare (8).

Complicanze

Nel corso del follow-up è necessario mantenere un adeguato livello di consapevolezza in merito alle possibili complicanze legate alla persistenza di elevati regimi di pressione a livello delle strutture vascolari polmonari e delle sezioni cardiache di destra. Il miglioramento della sopravvivenza ottenuto grazie alla terapia specifica ha certamente favorito lo sviluppo di complicanze a lungo termine quali emottisi, aritmie sopraventricolari e dilatazione aneurismatica dell’arteria polmonare (8).
In particolare, la dilatazione del tronco e delle diramazioni prossimali dell’arteria polmonare è in grado di determinare la compressione di strutture intratoraciche come i bronchi (con compromissione della ventilazione), il nervo laringeo ricorrente (disfonia), le vene polmonari (congestione polmonare settoriale) e il tronco comune della coronaria sinistra (aritmie ventricolari maligne e morte improvvisa); quest’ultima grave complicanza va attentamente monitorata in quanto è potenzialmente trattabile mediante angioplastica coronarica percutanea con ottimi risultati sia nel breve che nel lungo termine (9).

 

Bibliografia

  1. Galie N, Humbert M, Vachiery JL, et al. 2015 ESC/ERS Guidelines for the diagnosis and treatment of pulmonary hypertension: the Joint Task Force for the Diagnosis and Treatment of Pulmonary Hypertension of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Respiratory Society (ERS): Endorsed by: Association for European Paediatric and Congenital Cardiology (AEPC), International Society for Heart and Lung Transplantation (ISHLT). Eur Heart J. 2016;37:67-119.
  2. Simonneau G, Montani D, Celermajer DS, et al. Haemodynamic definitions and updated clinical classification of pulmonary hypertension. Eur Respir J. 2019;53:1801913.
  3. Humbert M, Guignabert C, Bonnet S, et al. Pathology and pathobiology of pulmonary hypertension: state of the art and research perspectives. Eur Respir J. 2019;53:1801887.
  4. Vachiery JL, Tedford RJ, Rosenkranz S, et al. Pulmonary hypertension due to left heart disease. Eur Respir J. 2019;53:1801897.
  5. Nathan SD, Barbera JA, Gaine SP, et al. Pulmonary hypertension in chronic lung disease and hypoxia. Eur Respir J. 2019;53:1801914.
  6. Frost A, Badesch D, Gibbs JSR, et al. Diagnosis of pulmonary hypertension. Eur Respir J. 2019;53:1801904.
  7. Kim NH, Delcroix M, Jais X, et al. Chronic thromboembolic pulmonary hypertension. Eur Respir J. 2019;53:1801915.
  8. Galie N, Channick RN, Frantz RP, et al. Risk stratification and medical therapy of pulmonary arterial hypertension. Eur Respir J. 2019;53:1801889.
  9. Saia F, Dall’Ara G, Marzocchi A, et al. Left main coronary artery extrinsic compression in patients with pulmonary arterial hypertension: technical insights and long-term clinical outcomes after stenting. JACC Cardiovasc Interv. 2019;12:319-21.
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