La Rivista Italiana delle Malattie Rare

Bruno Bembi
Direttore Centro di Coordinamento Regionale per le Malattie Rare, Coordinatore Scientifico Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine

La terapia chaperonica nuova frontiera nelle malattie lisosomiali: l’esempio del migalastat nella malattia di Fabry
La consulenza psicologica dovrebbe costituire parte integrante del percorso terapeutico rivolto alle persone con malattie rare, specialmente nei casi di elevata complessità, al fine di identificare le risorse utili a sostenere paziente e familiari nell’affrontare gli stress e le aree di criticità che potrebbero ostacolare il trattamento.

La terapia chaperonica nuova frontiera nelle malattie lisosomiali:...

La consulenza psicologica dovrebbe costituire parte integrante del...

 

Le malattie lisosomiali

Le malattie da accumulo lisosomiale (ML) rappresentano un gruppo di circa cinquanta patologie ereditarie causate da un deficit enzimatico o di proteine attivatrici e di trasporto intracellulare. Sono patologie ereditarie, per la maggior parte trasmesse con modalità autosomico recessiva ed in alcuni casi legate al cromosoma X (malattia di Fabry, di Donan e MPS II). Il difetto genetico (delezioni, traslocazioni, mutazioni puntiformi) determina un danno funzionale della proteina sintetizzata, influendo sulla quantità di accumulo dei vari substrati (glicosfingolipidi, glicogeno, oligosaccaridi, mucopolisaccaridi, colesterolo, mucolipidi, glicoproteine) e sulla sintomatologia clinica.

Le ML sono malattie multiorgano che coinvolgono in vario modo vasi, muscoli, scheletro, cute, occhio, cuore, polmoni, milza, fegato, reni e nelle forme più gravi il Sistema Nervoso Centrale (SNC). La variabilità fenotipica è ampia e sebbene vengano per comodità classificate in base all’età d’insorgenza dei sintomi (forme infantili, giovanili, adulte) ed alla presenza o meno di sintomi neurologici, presentano in realtà un continuum fenotipico che trova ad un estremo le forme severe dell’età perinatale e all’altro quelle paucisintomatiche dell’età avanzata.

Rare singolarmente, le ML hanno un’incidenza complessiva di 1:7-8000 nuovi nati (circa 85-90 nuovi casi/anno nel nostro Paese) e condizionano la qualità e la durata di vita delle persone affette comportando un importante carico assistenziale per le famiglie ed il sistema sanitario.

Terapie farmacologiche disponibili

Tab. 1 Malattie lisosomiali oggi trattabili  farmacologicamentePer un gruppo di ML è oggi disponibile la terapia sostitutiva (malattia di Gaucher, Fabry, Glicogenosi 2, MPS I, II, VI, Wolman, alfa-Mannosidosi), mentre sperimentazioni di fase III sono in corso per altre: malattia di Niemann-Pick B, Ceroidolipofuscinosi 2, MPS III (Tab.1). La terapia enzimatica sostitutiva (TES) ha cambiato la storia clinica dei malati lisosomiali. Si è dimostrata efficace nel ridurre/normalizzare l’accumulo negli organi periferici, normalizzare i parametri biochimici e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Presenta però alcune criticità che possono influire sulla compliance terapeutica: la via di somministrazione endovenosa, l’immunogenicità ed il costo molto elevato. C’è inoltre l’incapacità di raggiungere alcuni santuari terapeutici come l’osso ed il SNC.

Una seconda opportunità terapeutica è fornita dall’uso di molecole (iminozuccheri) capaci di inibire le vie metaboliche che portano alla formazione dell’accumulo. E’ un concetto interessante, non si potenzia la “degradazione”, ma si previene la formazione. Per un perfetto funzionamento è però necessaria un’attività enzimatica residua endogena o una combinazione con la TES. Due farmaci sono oggi disponibili, ambedue sviluppati per il trattamento orale della malattia di Gaucher: miglustat ed eliglustat (1,2). Il primo (capace di diffondersi nel SNC), ha successivamente trovato un’applicazione prioritaria nella malattia di Niemann-Pick C. Un’altra molecola di questa famiglia, il lucerostat, è attualmente in sperimentazione clinica per il trattamento della malattia di Fabry (3).

Fig. 1 Degradazione proteica intracellulare  ed azione delle molecole chaperonC’è poi la terapia emergente delle piccole molecole ad azione chaperonica. In questo caso la modalità d’azione è differente, sono molecole che si legano a siti specifici degli enzimi alterati, stabilizzandone la conformazione ed evitandone la “cattura” da parte del sistema di degradazione cellulare: il proteasoma (Fig. 1). Due sostanze sono oggi studiate nelle ML: un fluidificante delle secrezioni polmonari, l’ambroxolo (4), per la cura della malattia di Gaucher ed un altro iminozucchero, il migalastat (1-deossigalattonoirimicina), disponibile in Italia dal 2017 per il trattamento della malattia di Fabry (5, 6).

Quali sono i vantaggi innovativi dei farmaci chaperonici (FC)?

Il primo è quello del recupero funzionale degli enzimi “danneggiati”. C’è poi il vantaggio legato alla migliore diffusione tissutale, che potrebbe permette di arrivare al SNC e all’osso migliorando l’efficacia terapeutica. Altro aspetto positivo è infine quello della ridotta o assente immunogenicità, che evita lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti stimolato dall’enzima esogeno. Proprio la combinazione con la TES potrebbe rappresentare nel futuro un’evoluzione terapeutica, in quanto alcuni FC si sono dimostrati capaci di potenziare l’attività dell’enzima sostitutivo (7).

Esistono però degli ostacoli alla terapia chaperonica che devono essere considerati e superati. Si tratta principalmente di aspetti biologici legati alla conformazione della proteina enzimatica ed alla sua attività residua. Essi sono legati a mutazioni genetiche “non rispondenti” ai FC, come le delezioni e i riarrangiamenti cromosomici. Restano in corsa le mutazioni puntiformi che provocano la sostituzione di un singolo aminoacido o alterazioni di splicing “favorevoli”, con sintesi di enzimi parzialmente attivi.

Anche tra le mutazioni puntiformi non tutte sono però sensibili ai FC, come quelle che determinano un’accentuata termolabilità ed instabilità fisica della proteina sintetizzata, favorendo la formazione di aggregati proteici.

Bisogna poi considerare l’effetto di inibizione enzimatica di alcuni FC che si legano ai siti catalitici. Il legame FC-enzima avviene a pH neutro nel reticolo endoplasmatico (RE), da qui la proteina stabilizzata passa all’apparato del Golgi dove subisce le modifiche di glicosilazione prima di arrivare al lisosoma. Nell’ambiente acido lisosomiale infine avviene la dissociazione del FC dal sito catalitico e la conseguente attivazione dell’enzima.

E’ stata proprio l’osservazione di questa modalità di legame migalastat – alfa galattosidasi (alfa-GAL), in vitro e nel modello murino della malattia di Fabry, che ha messo in luce il paradosso della funzione terapeutica dei chaperon inibitori (8). Si è compreso infatti che bisognava dare il tempo necessario alla molecola per staccarsi dal sito enzimatico attivo, in modo da permettere l’interazione con il substrato. Questo è possibile evitando la somministrazione continua del farmaco ed identificando un dosaggio ed un intervallo di assunzione capaci di evitarne l’attività inibitoria. Nel futuro l’individuazione di FC in grado di legarsi a domini non catalitici potrà ampliare la gamma di mutazioni terapeuticamente trattabili. Nella tabella 2 sono schematizzate efficacia e criticità dei differenti approcci terapeutici.

Tab. 2 Efficacia e criticità dei differenti approcci terapeutici nelle malattie lisosomiali

La malattia di Fabry

La malattia di Fabry (MF) è una delle 3 malattie lisosomiali legate al cromosoma X. L’enzima coinvolto è l’alfa-GAL che catalizza la scissione dei residui del galattosio dai glicosfingolipidi neutri, in particolare dal globotriosilceramide (Gb3). Il suo deficit (totale o parziale) determina l’accumulo di Gb3 e altri metaboliti principalmente a livello vascolare, cardiaco, renale e del SNC. Sintomi classici della malattia sono la presenza di angiocheratomi, cornea verticillata, ipoidrosi, dolore neuropatico ad estremità e addome, progressiva insufficienza cardiaca, renale e danni cerebrali (stroke). Nella forma classica i sintomi in genere sono precoci, spesso con presenza di crisi dolorose ed angiocheratomi in età infantile ed il successivo progredire verso le altre manifestazioni d’organo. Esiste anche una variante tardiva prevalentemente cardiaca. Essendo X-linked, la MF nei maschi si esprime pienamente con un evoluzione più rapida e severa rispetto alle donne, dove dipende dal grado di lyonizzazione presente. Ad oggi sono state descritte 911 mutazioni causative, la maggioranza di tipo familiare. Mutazioni dovute a delezioni, riarrangiamenti o “stop-codon”, portano ad assenza di attività enzimatica con fenotipo severo. Le mutazioni puntiformi possono lasciare un’attività residua con ridotta severità clinica.

La MF è panetnica con valori d’incidenza contrastanti, che variano da 1:80.000 nati vivi/anno a 1:3000. La discrepanza dipende probabilmente dalla numerosità delle mutazioni private, alcune delle quali sono certamente varianti non patogenetiche.

Dal 2001 per la MF è disponibile la TES ed oggi ci sono sul mercato due preparati: l’agalasidasi beta e l’agalasidasi alfa. Si differenziano per la modalità di produzione (la beta prodotta su CHO, l’alfa su linee fibroblastoidi umane) e per il dosaggio, rispettivamente 1 mg/kg e 0,2 mg/kg/dose. L’efficacia terapeutica dei due farmaci è legata alla precocità dell’intervento e alla severità della compromissione d’organo presente.

Le criticità osservate della TES nella MF sono riconducibili a limitata diffusione, sviluppo di anticorpi neutralizzanti e reazioni allergiche secondarie. Vi sono poi aspetti legati alla cronica necessità di un accesso venoso a al costo elevato dal farmaco, che possono influire sulla compliance terapeutica.

Lo sviluppo della terapia chaperonica nella malattia di Fabry

Agli inizi degli anni 2000, dopo il riconoscimento da parte dell’Agenzia Europea del Farmaco della potenzialità terapeutica del miglustat nel ridurre la sintesi di glicosfingolipidi nella malattia di Gaucher, gli studi sull’uso terapeutico delle piccole molecole hanno subito un’accelerazione.

Nel 2005 Yam GH et al. (9) dimostrarono l’efficacia in vitro di un iminozucchero, il migalastat cloridrato (1-deossigalattonoirimicina), nel far diminuire l’accumulo di Gb3 nei fibroblasti di pazienti con MF. Questi risultati, confermati poi da Germain DP e Fan JQ (10) sempre in vitro e da Isii et al. (8) sul modello transgenico murino di MF, hanno aperto la strada alla sperimentazione terapeutica umana.

I risultati nell’uomo

I risultati della prima sperimentazione clinica di fase III di migalastat su un gruppo di 67 pazienti con MF, di età compresa tra i 16 e i 74 anni (64% donne), sono stati pubblicati da Germain DP et al. nel 2016 (5). Si trattava di pazienti con mutazioni potenzialmente responsive alla terapia che non avevano mai ricevuto TES o l’avevano sospesa da almeno 6 mesi. L’obiettivo primario dello studio era quello di verificare la riduzione dell’accumulo renale di Gb3 nei pazienti trattati rispetto al gruppo placebo. Altri parametri presi in considerazione erano l’escrezione urinaria del substrato, la funzione renale, quella cardiaca, la qualità di vita e la comparsa di eventi avversi.

Dopo 12 mesi di terapia, si è assistito ad una riduzione media del numero di depositi di Gb3 nei capillari interstiziali renali di -0.25±0.10 nei pazienti sensibili al farmaco verso un valore di 0.07±0.13 nel gruppo placebo (P=0.008). Contemporaneamente l’analisi qualitativa delle biopsie renali in 23 pazienti ha dimostrato la riduzione dell’accumulo nel 23% nei podociti glomerulari, 26% nelle cellule endoteliali e 48% in quelle mesangiali, a testimonianza della capacità di diffusione tissutale del farmaco. La funzione renale valutata a 24 mesi ha mostrato una riduzione del filtrato glomerulare (GFR) su base annua inferiore rispetto al valore stimato su coorti di pazienti esaminati in precedenti studi di follow-up.

A livello cardiaco il trattamento ha portato ad una riduzione complessiva dell’ipertrofia ventricolare sinistra, particolarmente sensibile in quei pazienti in cui era già presente all’inizio della terapia. Contemporaneamente ha evidenziato anche una riduzione del 5.2% dello spessore del setto interventricolare a fine diastole. Le analisi della scala di valutazione dei sintomi gastrointestinali hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo per diarrea e reflusso gastroesofageo nei primi 6 mesi di terapia (p<0.05) nel gruppo di pazienti trattati rispetto al placebo (11). Durante la fase di estensione in aperto, un ulteriore miglioramento (p<0.05) è stato osservato per la diarrea e l’indigestione. Un miglioramento della qualità di vita era riportato dai pazienti.

Un secondo studio di fase III randomizzato su 57 pazienti (56% donne) aveva l’obiettivo di valutare la funzione renale in pazienti passati da TES a migalastat (6). Lo studio ha valutato anche gli effetti sul cuore, accumulo tissutale, percezione dei pazienti e dati di sicurezza. I risultati hanno evidenziato effetti simili di migalastat e TES sulla funzione renale, mentre l’indice di massa ventricolare sinistra è diminuito significativamente in terapia con migalastat (-6.6 g/m2), rimanendo invariato nel gruppo rimasto in TES. Complicanze d’organo proprie della MF si sono presentate nel 29% dei pazienti trattati con migalastat rispetto al 44% di quelli in TES. Il livello plasmatico di Gb3 è rimasto basso e stabile dopo il passaggio da TES a migalastat. Studi successivi di estensione in aperto (OLE), hanno confermato i dati di efficacia del trattamento chaperonico a distanza di 4 e 5 anni (12).

Tab. 3 Efficacia clinica del migalastat  nella malattia di FabryIn conclusione questi studi sull’efficacia della terapia chaperonica con migalastat nella MF raffrontato con la TES, indicano una buona diffusione del farmaco nei tessuti renale e cardiaco, con un significativo miglioramento funzionale (Tab. 3). I risultati sono in accordo con i dati di biodisponibilità provenienti dagli studi preclinici sul modello animale e fanno intravedere la possibilità di incrementare l’efficacia terapeutica sui due organi, responsabili della maggior parte degli exitus nella malattia. Altra conclusione importante degli studi riguarda la sicurezza del farmaco che è stato ben tollerato dai pazienti e non ha comportato effetti collaterali di rilievo.

L’allargamento degli studi e dell’esperienza su fasce più ampie di pazienti Fabry darà indicazioni più precise per l’approccio chaperonico in questa malattia, ma già da ora fa intravedere una nuova strada anche per altre ML (13). Infine, la possibilità di associare FC e TES potrebbe consentire di rispondere ai quesiti ancora aperti e di potenziare l’efficacia delle cure nei pazienti con coinvolgimento d’organo avanzato.

Bibliografia

  1. Cox TM, Amato D, Hollak CE, et al. Evaluation of miglustat as maintenance therapy after enzyme therapy in adults with stable type 1 Gaucher disease: a prospective, open-label non-inferiority study. Orphanet J Rare Dis. 2012;7:102.
  2. Cox TM, Drelichman G, Cravo R, et al. Eliglustat compared with imiglucerase in patients with Gaucher's disease type 1 stabilised on enzyme replacement therapy: a phase 3, randomised, open-label, non-inferiority trial.  Lancet. 2015; 385(9985):2355-62.
  3. Guérard N, Morand O, Dingemanse J. Lucerastat, an iminosugar with potential as substrate reduction therapy for glycolipid storage disorders: safety, tolerability, and pharmacokinetics in healthy subjects. Orphanet Journal of Rare Diseases. 2017; 12:9.
  4. Narita A, Shirai K, Itamura S, et al. Ambroxol chaperone therapy for neuronopathic Gaucher disease: A pilot study. Ann Clin Transl Neurol. 2016;3(3):200-15.
  5. Germain DP, Hughes DA, Nicholls K, et al. Treatment of Fabry's Disease with the Pharmacologic Chaperone Migalastat. N Engl J Med. 2016; 375:545-55.
  6. Hughes DA, Nicholls K, Shankar SP, et al. Oral pharmacological chaperone migalastat compared with enzyme replacement therapy in Fabry disease: 18-month results from the randomised phase III ATTRACT study. J Med Genet. 2017; 54:288-296.
  7. Valenzano KJ, Khanna R, Powe AC, et al. Identification and Characterization of Pharmacological Chaperones to Correct Enzyme Deficiencies in Lysosomal Storage Disorders. Assay Drug Dev Technol. 2011; 9(3): 213–235.
  8. Ishii S, Chang HH, Yoshioka H,et al. Preclinical Efficacy and Safety of 1-Deoxygalactonojirimycin in Mice for Fabry Disease. J Pharm Exper Ther. 2009;328(3):723-731.
  9. Yam, GH, Bosshard N, Zuber C, et al. Pharmacological chaperone corrects lysosomal storage in Fabry disease caused by trafficking-incompetent variants. Am J Physiol Cell Physiol. 2006; 290: C1076-C1082.
  10. Germain DP, Fan JQ. Pharmacological chaperone therapy by active-site-specific chaperones in Fabry disease: in vitro and preclinical studies. Int J Clin Pharmacol Ther. 2009;47 Suppl 1:S111-7.
  11. Schiffmann R, Bichet DG, Jovanovic A,et al. Migalastat improves diarrhea in patients with Fabry disease: clinical-biomarker correlations from the phase 3 FACETS trial. Orphanet J Rare Dis. 2018; 13:68.
  12. GU 08/03/2017 commercializzazione Galafold Italia.
  13. Perenti G. Treating lysosomal storage diseases with pharmacological chaperones: from concept to clinics. EMBO Mol Med. 2009;1: 268–279.
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