La sindrome di Alagille (ALGS) rientra nelle patologie colestatiche ed è una malattia rara multisistemica di origine genetica, causata da mutazioni nei geni JAG1 e NOTCH2. JAG1 è espresso in cellule mesenchimali dello spazio portale, cellule endoteliali ed epiteliali biliari e funziona come ligando per NOTCH2, che è espresso negli epatoblasti durante lo sviluppo del fegato. L'interruzione della comunicazione, mediata da JAG1-NOTCH2, tra cellule epiteliali biliari ed epatoblasti, disturba il corretto sviluppo delle vie biliari e si traduce nella paucità dei dotti biliari. La riduzione di numero e di calibro dei dotti biliari determina la ritenzione degli acidi biliari nel fegato, con conseguente colestasi e, in ultima istanza, infiammazione e danno epatico che compromettono il funzionamento dell’organo. La patologia si caratterizza per una penetranza incompleta ed una espressività variabile, che rendono il fenotipo clinico molto differente tra gli individui affetti, anche quando portatori delle stesse mutazioni. La ALGS si trasmette con un pattern autosomico dominante, ma in taluni casi nessuno dei genitori possiede la variante patogenica e la malattia è dovuta a mutazioni de novo. Le manifestazioni cliniche della ALGS sono numerose (Fig. 1) e variano ampiamente da paziente a paziente, sia per tipologia che per severità: la malattia può avere anche esito fatale (il tasso di mortalità stimato arriva fino al 10% dei pazienti), soprattutto in presenza di problematiche cardiache e malattia epatica avanzata. La prevalenza stimata della ALGS è di circa un caso ogni 30.000 nati; in Italia sono riconosciuti circa 150 pazienti diagnosticati, ma si ritiene che il numero effettivo di pazienti sia superiore.
La colestasi nell’ALGS si associa a prurito di entità variabile, che può essere molto severo al punto da influire profondamente sulla qualità della vita (QoL) dei soggetti affetti. Esso può rappresentare - se resistente alle terapie mediche - anche la principale indicazione al trapianto di fegato. Dai dati di coorti storiche, il prurito intrattabile era la principale indicazione al trapianto di fegato, essendo presente in più del 70% dei casi, e la principale indicazione alla diversione biliare, eseguita in passato nel 5% dei pazienti.
A fine 2024 un tavolo multidisciplinare di esperti si è riunito con l’obiettivo di raccogliere i problemi di gestione della sindrome di Alagille, dalla diagnosi al trattamento, alla QoL, evidenziandone i bisogni insoddisfatti ed ha proposto alcune raccomandazioni (Tab. 1) da adottare nel nostro paese per migliorare il percorso diagnostico terapeutico di questi pazienti e semplificarne l’accesso alla terapia.
Fino alla fine del 2023 in Italia non era infatti disponibile un trattamento farmacologico specifico della sindrome di Alagille, e nella pratica clinica erano utilizzate soltanto terapie di supporto. Tali terapie consistevano sostanzialmente in una dieta specifica e nell’utilizzo empirico di farmaci volti a tentare di controllare alcune manifestazioni cliniche, quali l’acido ursodesossicolico e la rifampicina per il prurito, utilizzati off-label per le loro proprietà coleretiche e per la capacità di modulare il prurito; le prove di efficacia, tuttavia, consistevano in esperienze aneddotiche o piccoli studi.
A causa della modesta efficacia dell’approccio medico e dell’incertezza delle opzioni chirurgiche non trapiantologiche (gravate anche da un significativo impatto della bilistomia sulla vita quotidiana), i bambini con la ALGS possono andare incontro al trapianto di fegato per le complicanze dell’epatopatia colestatica, come il prurito e gli xantomi, anche in assenza di cirrosi o end-stage liver disease. In generale, fino al 75% dei pazienti ALGS viene sottoposto a trapianto di fegato prima di arrivare all'età adulta. Tuttavia il trapianto di fegato in pazienti affetti da questa malattia multisistemica è molto complesso e gravato da numerosi rischi con un tasso di sopravvivenza post trapianto inferiore rispetto all’atresia delle vie biliari ed altre patologie colestatiche genetiche isolate.
Maralixibat è il primo farmaco rimborsato in Italia per il trattamento del prurito colestatico in pazienti affetti da ALGS di età pari e superiore a 2 mesi. Agisce inibendo il trasportatore degli acidi biliari ileali (ileal bile acid transporter, IBAT) e interrompendo la circolazione enteroepatica degli acidi biliari; presenta un assorbimento minimo a seguito di somministrazione orale, in quanto il bersaglio terapeutico si trova nel lume dell’intestino tenue.
Lo studio registrativo ha valutato l’efficacia di maralixibat nella riduzione degli acidi biliari sierici (sBA) e del prurito, osservando una riduzione media statisticamente significativa degli sBA rispetto al basale e rispetto al placebo. La gravità del prurito è stata misurata tramite il punteggio Itch Reported Outcome Observer (ItchRO[Obs]), una scala convalidata che viene compilata dalla persona che si prende cura del paziente: i pazienti trattati con maralixibat hanno mostrato una variazione clinicamente significativa e riduzioni statisticamente significative del punteggio ItchRO(Obs) rispetto al basale che era persa quando i pazienti passavano temporaneamente al placebo. Questo indica con sicurezza che l’effetto sul prurito è conseguente all’azione del farmaco.
Durante il trattamento con maralixibat sono stati inoltre osservati miglioramenti di vario grado del colesterolo e della gravità dello xantoma.
Il profilo di sicurezza di maralixibat (da RCP) è rassicurante e si basa sull’analisi aggregata dei dati ricavati dalla revisione di 5 studi clinici condotti in pazienti di età compresa tra 1 e 17 anni con una durata mediana dell’esposizione di 2,5 anni. Le uniche reazioni avverse con frequenza molto comune sono esclusivamente di tipo gastrointestinale e prevedono possibile diarrea e dolore addominale, di gravità da lieve a moderata.
I dati degli studi clinici sembrano essere confermati anche nella pratica clinica: da uno studio multicentrico italiano, in 23 pazienti trattati circa il 90% ha avuto una riduzione significativa del prurito. Il farmaco, dunque, sta già incidendo molto positivamente sulla qualità di vita dei pazienti, rispondendo ad un bisogno terapeutico importante e offrendo un valore terapeutico aggiunto ai pazienti, spesso bambini molto piccoli, e potrebbe in futuro: