La Rivista Italiana delle Malattie Rare
Mauro Celli1, Anna Zambrano1, Luca Celli2
1Rare Bone Metabolism Center. AOU Policlinico...

Mauro Celli1, Anna Zambrano1, Luca Celli2
1Rare Bone Metabolism Center. AOU Policlinico Umberto I – Sapienza Università di Roma; 2Section Endocrinology, Department of Internal Medicine, Amsterdam Bone Center, Amsterdam University Medical Center, Amsterdam, the Netherlands

Osteoporosi e innovazione farmacologica: il ruolo di romosozumab
La caratterizzazione della sclerosi e della malattia di Van Buchem, contrassegnate dalla carenza di sclerostina, hanno portato allo sviluppo di una nuova categoria di molecole. Inibendo l’attività della sclerostina, l’anticorpo monoclonale romosozumab provoca un aumento della formazione ossea e riduce il riassorbimento osseo

Osteoporosi e innovazione farmacologica: il ruolo di romosozumab |...

La caratterizzazione della sclerosi e della malattia di Van...

 

Ad oggi è documentato che l'osteoporosi colpisce circa 5 milioni di persone nel nostro Paese di cui l’80% sono donne in postmenopausa. Le fratture da fragilità per osteoporosi hanno rilevanti conseguenze, sia in termini di mortalità che di disabilità motoria, con elevati costi sia sanitari sia sociali. Le fratture osteoporotiche infatti sono associate a una riduzione della qualità della vita e a una significativa morbilità, mortalità e utilizzo di risorse sanitarie.

Se da un lato è evidente il problema di trattare tutti i pazienti, dall'altro sono sempre più numerose le evidenze che suggeriscono che la stratificazione del trattamento in base al rischio di frattura al basale può consentire di indirizzare i trattamenti più efficaci ai pazienti a più alto rischio di frattura. Una strategia di questo tipo garantirebbe maggiori tassi di riduzione del rischio di frattura nei soggetti con maggiore probabilità di questa complicanza, contribuendo così a colmare l'attuale divario di trattamento e a massimizzare i benefici per i soggetti più vulnerabili. Alcuni trattamenti per l'osteoporosi, ad esempio i bifosfonati orali, la terapia ormonale in menopausa (MHT) e i modulatori selettivi del recettore estrogenico (SERM), hanno un'efficacia subottimale. Di conseguenza, l'International Osteoporosis Foundation (IOF) e la European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis, Osteoarthritis and Muscoloskeletal Diseases (ESCEO) hanno pubblicato una guida per la diagnosi e la gestione dell'osteoporosi nel 2019, con successive raccomandazioni sulla stratificazione del trattamento nel 2020, affermando che, nei pazienti a più alto rischio di frattura, l'inizio del trattamento con un agente anabolizzante come teriparatide, abaloparatide o romosozumab, seguito da un antiriassorbitivo per mantenere i guadagni nella densità minerale ossea, sembra ora una strategia altamente appropriata per ottenere una riduzione rapida e sostenuta del rischio di frattura.

Da segnalare la scoperta della sclerostina come inibitore chiave della formazione da parte di ricercatori che hanno valutato pazienti con 2 rare sindromi autosomiche recessive associate a un'elevata massa ossea: la sclerosi e la malattia di Van Buchem.

La sclerosi è un disturbo caratterizzato da una massa ossea molto elevata dovuta a mutazioni inattivanti del gene SOST sul cromosoma 17q21, il gene che codifica per la sclerostina, mentre la malattia di Van Buchem è un disturbo meno grave conseguente ad una delezione non codificante di un gene necessario per la normale trascrizione del gene SOST. In queste due malattie la sclerostina, altamente espressa negli osteociti, si lega alle proteine 5 e 6 legate ai recettori delle lipoproteine a bassa densità (LRP5 e LRP6) e impedisce l'attivazione della segnalazione Wnt nell'osso, con conseguente riduzione della formazione ossea. Questi risultati hanno stimolato l'interesse da parte di diversi ricercatori per l'esplorazione del potenziale della terapia antisclerostina come strategia per aumentare la formazione ossea e ripristinare l'architettura scheletrica nei pazienti con osteoporosi.

Romosozumab è un anticorpo monoclonale umanizzato contro la sclerostina, approvato dalla FDA, utilizzato per il trattamento dell'osteoporosi nelle donne in postmenopausa ad alto rischio di fratture, comprese le pazienti con una storia di fratture osteoporotiche, con molteplici fattori di rischio o che hanno fallito o sono intolleranti ad altre terapie per l'osteoporosi. L'efficacia e la sicurezza di romosozumab nel trattamento dell'osteoporosi e nell'aumento della densità della massa ossea sono state valutate in numerosi studi. Uno studio di fase II ha valutato la sicurezza e l'efficacia di romosozumab confermando la sicurezza e l'associazione con l'aumento della formazione ossea. Ha dimostrato inoltre un ridotto riassorbimento osseo e un aumento significativo (11,3%) della densità minerale ossea a livello della colonna lombare.

Lo studio FRAME (Fracture Study in Postmenopausal Women with Osteoporosis) ha confermato la capacità di romosozumab di prevenire le fratture vertebrali nelle donne in postmenopausa. Lo stesso studio ha dimostrato come a 12 mesi l'1,8% delle pazienti nel gruppo placebo ha avuto una nuova frattura vertebrale contro lo 0,5% del gruppo di trattamento con romosozumab. Lo studio ha inoltre evidenziato una  riduzione delle nuove fratture vertebrali a 24 mesi con il passaggio a denosumab dopo aver completato il regime di 12 mesi di romosozumab. Un ulteriore studio (ARCH) di controllo tra romosozumab e alendronato ha dimostrato l'efficacia di un regime di trattamento con romosozumab seguito da alendronato rispetto al solo alendronato: a 24 mesi, i pazienti trattati con romosozumab e passati ad alendronato a 12 mesi presentavano un rischio inferiore del 48% di nuove fratture vertebrali e un rischio inferiore del 38% di fratture dell'anca rispetto ai pazienti trattati con il solo alendronato.

Lo studio STRUCTURE ha confrontato l'efficacia di romosozumab rispetto a teriparatide in pazienti in transizione da una terapia inefficace con bifosfonati, rivelando un maggiore aumento della densità di massa ossea nel gruppo di trattamento con romosozumab rispetto al gruppo con teriparatide.

Attualmente in Italia, a seguito della pubblicazione della Determina AIFA pubblicata nella GU n. 201 del 29.08.2022, a partire dal 30.08.2022 è stato reso possibile l’utilizzo in regime di rimborsabilità con il SSN di romosozumab con l’indicazione terapeutica per donne in menopausa con osteoporosi documentata in prevenzione secondaria e con rischio di frattura a 10 anni >20% e donne con impossibilità a proseguire trattamenti alternativi efficaci.

 

Bibliografia

×
Immagine Popup