La Rivista Italiana delle Malattie Rare

Angelo Selicorni1 , Maria Iascone2
1 UOC Pediatria ASST Lariana, Como 2 Laboratorio di Genetica Medica, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

Quale ruolo del genetista clinico nell’era della nuova genomica?
La genetica clinica ha affrontato in un breve volgere di tempo una rivoluzione vera e propria sul piano clinico, conoscitivo e metodologico. Solo l’obiettivo del nostro lavoro è restato invariato: fornire al bambino e alla sua famiglia una diagnosi accurata sapendo che l’inquadramento diagnostico ottenuto avrà conseguenze significative in ambito prognostico, di counselling genetico, di impostazione di un piano di follow-up clinico internistico e, ove necessario, di un percorso riabilitativo mirato. La formulazione di una diagnosi richiede un’assunzione di responsabilità da parte del professionista clinico e di laboratorio verso il paziente ed i suoi genitori, ma anche verso i colleghi che hanno in carico o che incontreranno il paziente nel suo percorso di cura.

Quale ruolo del genetista clinico nell’era della nuova genomica?...

La genetica clinica ha affrontato in un breve volgere di tempo una...

 

La genetica clinica ha certamente affrontato in un breve volgere di tempo una evoluzione e, possiamo dire, una rivoluzione vera e propria sul piano clinico, conoscitivo e metodologico. Solo l’obiettivo del nostro lavoro è restato invariato: fornire al bambino ed alla sua famiglia una diagnosi accurata e convincente ben sapendo che l’inquadramento diagnostico ottenuto avrà conseguenze significative in ambito prognostico, di counselling genetico personale e familiare, di impostazione di un piano di follow-up clinico internistico e, ove necessario, di un percorso riabilitativo mirato. Last but not least la diagnosi eziologica lascia ampio margine e speranza di poter usufruire di eventuali percorsi terapeutici innovativi e mirati che venissero messi a disposizione dal mondo della ricerca. La formulazione di una diagnosi è un atto che richiede un’assunzione di responsabilità da parte del professionista, sia clinico che di laboratorio, verso il paziente, i suoi genitori, il contesto familiare, ma anche verso i colleghi che hanno in carico o che incontreranno il paziente nel suo percorso di cura. È esperienza comune la difficoltà di smentire una diagnosi formulata come “definitiva” rivelatasi invece scorretta.

Si è sempre discusso molto, in ambito metodologico clinico, quale fosse la strategia migliore per raggiungere l’obiettivo. Come ben sottolineato da J. Aase nel suo testo “Diagnostic Dysmorphology” agli albori della sindromologia, il percorso metodologico univoco era rappresentato dalla direttrice “analisi del fenotipo → diagnosi clinica” in un momento in cui le possibilità di validazione molecolare delle diagnosi stesse erano estremamente limitate ed in cui il maggior peso specifico della conferma della diagnosi era rappresentato dal parere concordante di più esperti clinici.

Nel corso degli anni successivi abbiamo assistito ad una espansione delle potenzialità di conferma diagnostica di ipotesi specifiche, sia in ambito citogenetico, grazie all’introduzione delle tecniche FISH, sia in ambito molecolare, con l’incremento dei geni malattia noti e delle possibilità di testarli. In questa fase, il rapporto tra clinico e laboratorio, nella maggior parte dei casi, veniva considerato monodirezionale: il clinico formulava un’ipotesi diagnostica sulla base della quale richiedeva al laboratorio un test mirato il cui risultato avrebbe portato a una conferma o esclusione della diagnosi.

L’introduzione dell’analisi array-CGH ha successivamente portato a un primo cambiamento dell’approccio metodologico: per la prima volta il clinico si è trovato a dover interpretare un dato genomico non precedentemente ipotizzato, dovendo attribuire a questo un significato in relazione al quadro del paziente. Con grandi difficoltà, si sono quindi definiti criteri condivisi per interpretare il significato delle diverse varianti quantitative rilevate e si sono creati database internazionali per supportare questo processo interpretativo. Ciò ha imposto nuove relazioni tra clinico e laboratorio in cui il confronto è diventato l’elemento cardine di un rapporto bidirezionale. L’ulteriore concetto nuovo introdotto dall’utilizzo nel percorso diagnostico di un’analisi wide è quello di VOUS (variante di significato clinico incerto) e la conseguente possibilità che un test genetico possa generare ulteriore incertezza piuttosto che fornire un risultato che possa concludere un percorso diagnostico.

Nel frattempo si è verificata una crescita conoscitiva esponenziale in tre diversi ambiti strettamente correlati:

  • aumento notevole del numero dei “fenotipi” sindromici noti
  • aumento altrettanto significativo della scoperta del difetto molecolare di base di questi fenotipi
  • maggiore consapevolezza della notevole variabilità di espressione clinica dei fenotipi stessi, anche di quelli ritenuti più classici (es. sindrome di Cornelia de Lange).

Questa fondamentale evoluzione delle conoscenze ha avuto come ricaduta la definizione di due concetti di assoluta importanza: l’eterogeneità genetica della gran parte dei fenotipi clinici noti e l’esistenza dei cosiddetti “overlapping phenotypes” cioè la consapevolezza dell’esistenza di spettri fenotipici sovrapposti che abbracciano più condizioni cliniche in passato apparentemente separate, che riconoscono come difetto di base mutazioni di geni appartenenti allo stesso pathway biochimico e/o funzionale (Cromatinopatie, Coesinopatie, Baffopatie, RASopatie, Ciliopatie). Le stesse classificazioni hanno risentito notevolmente dell’embricatura tra conoscenze cliniche e dati molecolari. Un esempio eclatante è la “Nosology and classification of genetic skeletal disorders: 2019 revision” che definisce l’esistenza di 42 gruppi di condizioni 10 dei quali basati sulla sola definizione biochimico-molecolare. In questo panorama di grande movimento ed evoluzione concettuale si inserisce l’introduzione di una nuova tecnologia di sequenziamento (Next Generation Sequencing) che ha portato ad una vera e propria rivoluzione in ambito diagnostico e di ricerca.

Le diverse applicazioni dell’NGS introdotte in ambito diagnostico (pannelli di geni, whole exome sequencing) sono certamente strumenti rapidi ed efficienti che hanno permesso un notevole incremento della capacità diagnostica, tuttavia il loro utilizzo richiede un processo che deve essere gestito con cautela. Soprattutto l’applicazione wide di questa tecnologia con l’utilizzo del WES in diagnostica, ha ancor di più messo in evidenza la necessità di un nuovo e diverso approccio concettuale del genetista clinico o di laboratorio.

La definizione dettagliata del fenotipo (deep phenotyping) diventa infatti oggi essenziale non solo per generare ipotesi diagnostiche cliniche più o meno gestaltiche da confermare (dal fenotipo al genotipo), ma, soprattutto, per filtrare ed interpretare in modo proficuo e responsabile i dati genomici generati dall’analisi (dal genotipo al fenotipo). Il deep phenotyping è indispensabile anche per procedere con nuovi test in caso di negatività del WES per ipotizzare quei difetti di base, quali anomalie del pattern di metilazione o piccole delezioni intrageniche, che l’analisi genomica non è in grado di svelare.

Per sfruttare tutto il potenziale di queste nuove tecnologie, tutelando il paziente, è indispensabile che la distanza tra clinica e laboratorio, tra lettino di visita e bancone, si riduca fortemente, integrando le diverse competenze per raggiungere l’obiettivo della diagnosi. Il rapporto, quindi, diventa bidirezionale e basato su un continuo confronto: il clinico fornisce al laboratorio una dettagliata descrizione del paziente e, quando possibile, delle ipotesi diagnostiche, il laboratorio esegue l’analisi e la interpreta, sulla base dei dati clinici forniti; i dati genomici che ne scaturiscono a volte confermano il sospetto di invio, a volte suggeriscono diagnosi alternative che devono, comunque, essere validate dal clinico prima della comunicazione al paziente e alla famiglia per avviare il percorso di cura successivo.

Anche nei casi in cui non si raggiunge una diagnosi, perché il WES ha dato dei risultati incerti (VUS) o è risultato negativo, il rapporto stretto tra clinico e laboratorio deve continuare. L’utilizzo di network internazionali di condivisioni di varianti a significato sconosciuto, associato a una valida caratterizzazione fenotipica, può portare alla definizione di nuovi geni malattia (gene discovery basata sul genotipo). La rivalutazione a distanza di tempo del dato dell’esoma su indicazione del clinico, che mantiene il follow up del paziente aggiornandone la situazione clinica, può permettere l’identificazione di varianti in geni precedentemente non classificati come geni malattia o la rivalutazione sulla base di nuove ipotesi diagnostiche. Quest’ultimo aspetto rappresenta un’ulteriore grande novità nel percorso diagnostico; infatti, la possibilità di rivalutare il dato dell’esoma evita la reiterazione dei test, riducendo i costi e i tempi del percorso diagnostico, nell’interesse del paziente e della sua famiglia.

Ci sembra giusto quindi concludere con Raoul Hennekam (2007) ed il suo Editorial Comment su Am J Med Genet: “What to call a syndrome?”. Pur nella necessità di trovare un equilibrio tra ciò che la clinica suggerisce e le nuove preziose informazioni che arrivano a tambur battente dalla genetica molecolare, la sua proposta conclusiva è chiara: “I propose here to make the patient the central issue… Clinical Genetics would not exist without patients”. 

Bibliografia

  1. Aase JM. Diagnostic Dysmorphology. 1990. New York: Plenum Medical Book Company.
  2. Avagliano L et al. Chromatinopathies: A focus on Cornelia de Lange syndrome. Clin Genet. 2020;97(1):3-11.
  3. Yuan B et al. Clinical exome sequencing reveals locus heterogeneity and phenotypic variability of cohesinopathies. Genet Med. 2019;21(3):663-675.
  4. Gelb BD et al. ClinGen's RASopathy Expert Panel consensus methods for variant interpretation. Genet Med. 2018; 20(11):1334-1345.
  5. Mortier G et al. Nosology and classification of genetic skeletal disorders: 2019 revision. Am J Med Genet. 2019;179A:2393–2419.
  6. Gordon ES et al. The future is now: Technology’s impact on the practice of genetic counseling. Am J Med Genet. 2018;178C:15–23.
  7. Stark Z et al. Integrating Genomics into Healthcare: A Global Responsibility. Am J Hum Genet. 2019; 104(1):13-20.
  8. Hennekam RC. What to call a syndrome. Am J Med Genet A. 2007;143A(10):1021-4.
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